Legambiente ribadisce la sua contrarietà forte e motivata al progetto e chiede di scegliere con coraggio la strada dell’energia pulita e rinnovabile
Legambiente ribadisce in una nota il suo no alla realizzazione del metanodotto Larino Chieti in Val di Sangro. Sono arrivate in questi giorni ai proprietari dei terreni in Val di Sangro interessati dal passaggio del Metanodotto Larino Chieti le notifiche per l’esproprio. Il tracciato del Metanodotto ha una lunghezza di 110 km e attraversa tre province: Campobasso, Chieti e Pescara. Sono ben 26 i comuni interessati tra l’Abruzzo e il Molise: Cupello, Furci, Monteodorisio, Scerni, Pollutri, Casalbordino, Paglieta, Lanciano, Castel Frentano, Orsogna, Poggiofiorito, Filetto, Casacanditella, Bucchianico, Casalincontrada, Chieti, Cepagatti, Rosciano, Pianella, Larino, Guglionesi, Montecilfone, Palata, Montenero di Bisaccia, Tavenna, Mafalda. Numerose sono le aree protette, tutelate anche a livello europeo, lungo il tracciato: 16 SIC (Siti di Interesse Comunitario) e 1 ZPS (Zona di Protezione Speciale). In Abruzzo i SIC a ridosso del tracciato sono: “Monti Frentani e Fiume Treste”; “Lago di Serranella e Colline di Garenna”; “Calanchi di Bucchianico (Ripe dello Spagnolo)”. Quelli direttamente attraversati, invece: “Bosco di Mozzagrogna (Sangro)”; “Boschi ripariali sul Fiume Osento”; “Fiume Trigno (medio e basso corso); “Gessi di Lentella”. Si tratta di aree fortemente sensibili sia dal punto di vista naturalistico-paesaggistico che del dissesto idrogeologico.
Da anni Legambiente si batte contro questo progetto perché anacronistico e dispendioso. Dichiara Luzio Nelli, presidente del Circolo Legambiente Paglieta: “La forte mobilitazione della popolazione della Val di Sangro sui temi dell’energia e dei rifiuti deve spingere la politica e le istituzioni a porsi obiettivi più ambiziosi. Finora sono state poche e timide le azioni per attivare in maniera concreta il processo di decarbonizzazione, che come racconta l’ultimo Rapporto dell’IPCC, deve avvenire in pochi anni. Bisogna scommettere su questo nuovo percorso che passa attraverso la costituzione di comunità energetiche che puntano sull’autoproduzione energetica utilizzando solo fonti di energia pulita e rinnovabile. Coinvolgendo le imprese virtuose che puntano su tecnologie nuove e sostenibili”.
Secondo il Rapporto No Oil di Legambiente le fonti fossili, petrolio e gas, sono ancora al centro del sistema energetico. Le rinnovabili sono in crescita costante, ma troppo lenta per il raggiungimento dell’obiettivo emissioni nette zero entro il 2040, arrivando oggi a coprire solo il 18% dei consumi totali nazionali e il 35% di quelli elettrici. Mentre nel 2018 a livello mondiale le rinnovabili hanno continuato a correre, grazie in particolare agli investimenti fatti in Cina, purtroppo in Italia le installazioni sono cresciute pochissimo, in continuità con gli ultimi cinque anni, con solo 478 MW di solare fotovoltaico e 562 di eolico nel 2018, insufficienti per raggiungere i limitati obiettivi al 2030 della SEN e del nuovo Piano Energia e Clima. Lo scorso anno si è addirittura ridotto il contributo delle nuove rinnovabili (non considerando l’idroelettrico) alla produzione, dopo 12 anni di continua crescita, perché i nuovi impianti non riescono a recuperare la perdita di efficienza di quelli esistenti (in particolare nel fotovoltaico).
Eppure nei nostri territori l’emergenza climatica si fa sentire sempre più spesso e con più intensità, arrivando a contare, secondo i dati forniti dall’Osservatorio di CittàClima di Legambiente, 563 eventi estremi verificatosi dal 2010 a oggi, distribuiti in 350 Comuni. Il gas metano è considerato una fonte di energia utile per il processo di transizione verso la decarbonizzazione pulita ma in realtà la sua estrazione crea seri problemi nell’assetto del territorio e altrettanto importante è l’impatto sul territorio dei metanodotti. Secondo lo scenario della Ue nel 2030 le importazioni di gas saranno di 328 miliardi di m3/anno a fronte di una capacità d’ingresso che già ora è di 600 miliardi m3/a. E, se verranno realizzate tutte le infrastrutture programmate, la capacità delle importazioni di metano in Europa arriverebbe a 1.000 miliardi m3/a, cioè un livello tre volte maggiore della domanda prevista. Peraltro, i consumi non potranno che diminuire in relazione alle politiche climatiche: ogni punto % di aumento dell’efficienza garantisce una riduzione del 2,6% delle importazioni di metano e il Parlamento Europeo ha proposto di alzare ulteriormente l’attuale obiettivo 2030 della Commissione sull’efficienza dal 30% al 40%. E nei decenni successivi le politiche di efficienza saranno più aggressive.
D’altra parte, è vero che la produzione interna di gas è destinata a calare in Italia come in Europa ma questa riduzione verrà più che compensata dalla produzione di biometano, potenzialità che secondo il CIB (Consorzio italiano biogas), sono tali da superare il 13% dei consumi e di creare 12mila posti di lavoro. Insomma, pur tenendo conto anche di altri parametri, come la sicurezza degli approvvigionamenti e le valutazioni geopolitiche sui paesi esportatori, l’attuale bulimia europea di gasdotti e rigassificatori evidenzia un serio pericolo di “stranded assets”, cioè di investimenti per opere che rischiano di rimanere inutilizzate. Tutte riflessioni già ampiamente condivise negli anni da Legambiente.
Abbiamo bisogno di un cambio di rotta a livello nazionale: è necessario trasformare i sussidi alle fonti fossili in investimenti nelle tecnologie green. E abbiamo bisogno di azioni concrete a livello locale. Dichiara Rebecca Virtù, presidente del Circolo Legambiente Geo APS di Atessa: “Il Metanodotto Larino – Chieti non è necessario per gli attuali consumi di gas ma è strumentale solo per chi lo realizza, in quanto per stessa ammissione del proponente serve a connettere le aree per realizzare centri di stoccaggio. Tutto il progetto è funzionale a sole logiche privatistiche e di mercato. Non bastano più tiepide dichiarazioni di intenti da parte delle istituzioni che rappresentano i cittadini. C’è bisogno di scelte chiare e coraggiose per affrontare la crisi climatica. Bisogna realizzare investimenti in tecnologie capaci di ridurre drasticamente consumi energetici e emissioni di CO2. In questa fase storica si possono aprire opportunità straordinarie di rilancio economico e di riqualificazione del territorio ma è necessario impegnarsi concretamente e coraggiosamente.