Da settimane si registrano disagi nell’erogazione dell’acqua nell’area servita dall’Aca, sia in provincia che a Pescara e Chieti. Piogge scarse e reti groviera determinano una carenza che pagano – anche letteralmente – i cittadini.
L’effetto è simile, ma la causa è differente: nella zona colli di Pescara all’origine della carenza idrica c’è la riduzione di orario e flusso, mentre nel centro cittadino è la pressione oggettivamente insufficiente a lasciare a secco i residenti. Nella parte alta della città è l’Aca a chiudere i rubinetti nelle ore notturne, o a ridurre il flusso in quelle diurne, mentre nel centro cittadino l’acqua non riesce a salire ai piani superiori. Dai rubinetti di alcune zone del centro, soprattutto nei fabbricati privi di autoclave, non esce una goccia d’acqua in tutta la giornata e si ripresenta a tarda sera. Per cucinare, per l’igiene personale e per le pulizie, i residenti vanno avanti con bottiglie, damigiane e secchi; oppure, chi può, per lavarsi approfitta delle docce in spiaggia. Nella zona collinare invece l’acqua sparisce di notte e torna all’alba, misura scomoda ma sicuramente più facile da gestire.
La riduzione della fornitura idrica non riguarda solo la provincia pescarese, anche Chieti sta soffrendo da parecchi giorni. L’ACA l’ha chiamata “razionalizzazione programmata” e ha spiegato che alla base di sospensioni e riduzioni ci sono motivi contingenti e indipendenti dalla volontà dell’azienda. Ma è altrettanto vero che non avere la disponibilità dell’acqua in piena estate e in epoca covid rappresenta un disagio significativo per la popolazione. La speranza va riposta in diversi elementi: il ritorno delle precipitazioni e la riduzione degli sprechi, a tutti i livelli: per esempio lavarsi i denti con il rubinetto chiuso tra una spazzolata e l’altra, o ammodernare le reti idriche che disperdono più del 40% di quello che incamerano dalle sorgenti. Si può fare? Si deve fare.
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