L’esoscheletro che ti rimette in piedi: un paziente del San Raffaele di Sulmona assapora la normalità e guarda al futuro grazie alla riabilitazione robotica.
Si chiama Alessandro Vantaggiato, ha 51 anni e viene da Lecce. Un giorno, all’improvviso, la rottura di una cisti midollare lo ha costretto a ribaltare la sua vita e a guardare il mondo da una prospettiva diversa: seduto su una carrozzina. In Puglia Alessandro faceva il meccanico, poi tutto è finito quel maledetto giorno. Almeno fino a quando non è approdato, un anno fa, alla casa di cura San Raffaele di Sulmona, dove Alessandro VAntaggiato a ciniziato a vedere la famosa luce in fondo al tunnel grazie all’esoscheletro, la struttura altamente tecnologica che rimette letteralmente in piedi il paziente paraplegico.
“Quello che si prova anche dopo il primo passo fatto grazie all’esoscheletro, che ti rimette in piedi dopo mesi e ti fa vedere le persone senza dover necessariamente alzare la testa da seduto, è un’emozione grandissima. Poi quando la carrozzina non è più la tua vera e mai desiderata compagna di vita, perché la puoi sostituire con il deambulatore o con le stampelle, allora la speranza di tornare a un quotidiano fatto anche di un buon margine di autonomia diventa una realtà in cui all’inizio io, ma forse nessuno avrebbe sperato. Nel gennaio 2019 ho dovuto subire un’operazione chirurgica, a causa di una cisti midollare, per una ischemia al midollo che ha portato a una diagnosi di paraplegia. Avevo perso tutte le funzioni fisiologiche. A Sulmona ho iniziato con la terapia tradizionale. Poi la riabilitazione robotica, posso dire che per me è stata una vera svolta, perché ho potuto integrare la terapia con l’Ekso, un esoscheletro robotizzato che ti fa stare in piedi e ti permette di fare passi e movimenti giusti, corretti. Così, anche grazie alla professionalità e alla competenza che ho trovato qui, oltre alle attrezzature che non è possibile trovare ovunque, ho avuto ottimi risultati”.
Alessandro Vantaggiato oggi termina il secondo ciclo di terapia riabilitativa, durato cinque mesi.
“Dopo l’intervento non muovevo nulla – aggiunge Vantaggiato – neanche un dito. Nessuno si esponeva nel dire che avrei potuto riprendere a muovermi. Poi, pian piano, la situazione è migliorata e ho iniziato a fare i primi passi. Prima con l’esoscheletro, poi con il deambulatore e poi con le stampelle. L’esoscheletro ha fatto in modo che muovessi i primi passi nel modo giusto. A parte il fatto che già alzarsi in piedi dopo un po’ di tempo che sei sempre sulla carrozzina è un’emozione troppo grande, che non ti fa neanche parlare. Non sai cosa dire, ma è bellissimo. Per me che ho dovuto guardare gli altri dalla carrozzina, alzando la testa, tornare a guardare le persone negli occhi alla stessa altezza è stato fantastico. Per di più la terapia non è dolorosa. Oggi riesco a fare diverse cose autonomamente, usando le stampelle e dopo i primi 1600 passi con l’esoscheletro adesso ne faccio circa 1700 con le stampelle. Durante il lockdown è stato necessario sospendere il percorso e sono dovuto tornare a casa per 4 mesi. Appena ho potuto sono tornato in clinica. Ero un po’ irrigidito, ma in pochi mesi ho avuto un risultato che non mi sarei aspettato. Non so se riuscirò a fare altri passi avanti, lo spero tanto, però ora sono già autonomo nel fare tante cose. L’esoscheletro è ancora il mio compagno di viaggio e confido di poter migliorare fino a ritrovare e tornare alla mia normalità”.
Vantaggiato è stato ricoverato per la prima volta a Sulmona nell’aprile del 2019.
“Le sue condizioni erano di completa dipendenza – spiega il Primario dell’Unità Spinale del San Raffaele Sulmona, Giorgio Felzani – a causa di una totale inabilità dell’uso degli arti inferiori e nelle comuni attività quotidiane. Era condizionato da una evidente spasticità degli arti inferiori e da un deficit dell’estensione delle ginocchia. Viste le condizioni di base del paziente, le nostre aspettative di outcame, in ragione della esperienza maturata negli anni con soggetti che avevano caratteristiche simili, erano essenzialmente finalizzate ad una verticalizzazione e alla possibilità di farlo camminare per brevi tratti con il supporto di un deambulatore e l’assistenza intensa di terzi. Per la maggior parte del tempo sarebbe rimasto seduto in carrozzina, cosa che avrebbe comportato maggiori rischi di sviluppo di lesioni da decubito, infezioni delle vie urinarie, stipsi, etc. Attualmente questo ausilio rappresenta lo strumento da utilizzare solo per i percorsi più lunghi. Di fatto, considerando alcuni parametri in senso predittivo e le evidenze scientifiche, non si poteva prevedere che il paziente potesse raggiungere i risultati che ha ottenuto”.