Dopo il grande successo di “Attorno a un Tavolo”, che ha coinvolto attori e pubblico in un’insolita cena-spettacolo, al Florian di Pescara, torna “La chiave dell’ascensore”.
La pièce, basata su un testo drammatico di Agota Kristof, è prodotta da Florian Metateatro/CSS-Accademia degli Artefatti; con Anna Paola Vellaccio; allestimento e regia di Fabrizio Arcuri, traduzione di Elisabetta Rasy.
“Lo spettacolo – si legge nelle note del Florian – riparte da Pescara per una tournée che lo porterà in importanti teatri italiani, con tappe in marzo a Porto San Giorgio, Roma e Udine; in aprile a Monza e Genova. In scena c’è una stanza che gli spettatori sbirciano da una finestra. Avvolta dalle volute della nebbia e dal vento che le muove i capelli, la donna racconta la storia a se stessa. Tutto è reale e simbolico allo stesso tempo: le luci, i rumori, la voce che le fa eco che le rimbomba nella testa, mentre accetta ogni privazione, accetta di non muoversi più, di non sentire più, di non vedere più, fino a che non arriva la minaccia. Piuttosto la vita ma non la voce. Perdere la voce significa perdere la possibilità di esprimersi più di qualunque altro senso. Allo spettatore non resta che cadere lentamente dentro le maglie di questa tragedia che da favola pian piano svela il suo risvolto fino ad arrivare ad essere baratro, nera testimonianza di tanti soprusi di cui le nostre cronache sono piene. Sotto la superficie della scena che ci si apre dinnanzi (una Donna che attende l’arrivo del Marito nella loro casa) c’è qualcosa di invisibile ma minaccioso. Anche dal tono pacato della protagonista, del resto, emerge di tanto in tanto la sua vera condizione, che l’ha resa folle: è segregata in casa dal consorte, il solo ad avere la chiave dell’unico ascensore che conduce fuori dall’abitazione, isolata e immersa in un bosco lontano dalla città. L’amore è anche volontà di possedere l’altro. Quando questo istinto va fuori controllo gli esiti sono nefasti, perché un essere umano non si riduce mai ad un solo ruolo, sarà sempre anche altro rispetto alla parte che riveste in un determinato rapporto sociale (la coppia, ad esempio) e quindi non potrà mai esser totalmente dominato dall’altro. E’ una lotta che l’oppressore non può vincere, sembra dirci Kristóf, almeno sul piano dell’assoggettamento mentale: il desiderio di libertà è insopprimibile; la Donna, piegata, resa folle, scissa, conserva comunque la volontà di essere un individuo e non cede all’assimilazione. Potranno toglierle la vita, ma non si farà strappare la voce per gridare al mondo la sua condizione”.
Al termine della serata Incontro con la Compagnia a cura di Giulia Basel e la con partecipazione di Franca Minnucci.
Così la critica:
“Il regista Fabrizio Arcuri e l’interprete Anna Paola Vellaccio avevano già lavorato insieme. L’accordo è
misterioso, sono un tutt’uno”.
“… Il testo della Kristóf viene proposto ai Teatri di Vita nell’interpretazione intensa e struggente di Anna
Paola Vellaccio , allestimento e regia di Fabrizio Arcuri, Premio della critica 2010 e, nel 2011, Premio Ubu e Premio Hystrio alla regia… Tutta la pièce è giocata sull’intreccio di sonorità, luce e fisicità attorica. Musica e voce spesso si compenetrano, creando un’atmosfera di sospensione trasognata, inquieta e perturbante. In particolare, la vocalità di Anna Paola Vellaccio è di un’intensità che mette i brividi, vira nel giro di un istante dalla narrazione, alla cantilena dolente, al grido straziato, e ricalca con la voce il senso del racconto fino a punte onomatopeiche che sono pura poesia vocale…”.