Federico Caffé ancora avvolto nell’oblio degli ingrati: oggi, a 102 anni dalla nascita, nessuno sembra ricordarlo. La segnalazione arriva dal presidente del consiglio comunale di Pescara, Antonio Blasioli.
L’anno scorso, di questi tempi, avevamo scritto che l’abitudine italica di sorseggiare più volte in una giornata un liquido nero e caldo che si chiama caffè non dovrebbe farci dimenticare l’economista buono dal cognome omonimo. E invece. Della scomparsa di Federico Caffè, nato il 6 gennaio del 1914 a Pescara e sparito da Roma nella notte tra il 14 ed il 15 aprile del 1987, non si occupa quasi più nessuno. La storia va in fretta, l’economia brucia se stessa con famelico ardore, e la memoria degli uomini non è da meno. Eppure Caffè un ricordo lo merita, ma non di quelli celebrativi: da non dimenticare sono il suo pensiero lucido e soprattutto il suo modo di insegnare, che infatti ben ricorda chi ha avuto la fortuna di averlo come professore. Docente universitario, storico del pensiero economico, Caffé insegnò a lungo a Roma e a Pescara, sua ingrata città natale. Un convegno, una targa, un’intitolazione e poco altro ne ricordano la figura, ma sia l’anno scorso che nel 2014 – nel centenario della nascita – e anche oggi, poco s’è visto e si vede in giro. A non dimenticare Caffè è il presidente del Consiglio comunale, Antonio Blasioli, che ha scritto una lettera aperta dedicata all’economista-professore, il quale oggi avrebbe (e magari ha, visto che il suo corpo non si è mai ritrovato) 102 anni.
“Oggetto delle sue riflessioni – dice Blasioli – è sempre stato la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale per i ceti più deboli, argomenti oggi di grande attualità. Quando si parla della figura di Federico Caffè si può scegliere tra i diversi profili che lo hanno caratterizzato: Federico Caffè come uomo; Federico Caffè ed il suo pensiero economico, estremamente attuale; Federico Caffè come uomo di cultura o Federico Caffè come grande insegnante quale “metalmeccanico dell’università”, come amava definirsi”.
Caffé ebbe diverse esperienze di insegnamento, anche all’estero, poi tornò nella capitale. Alla lunga carriera universitaria affiancò una prestigiosa carriera pubblica, ma la dedizione all’insegnamento e i tanti incarichi non lo allontanarono dall’impegno civile: antifascista negli anni della guerra, vicino al riformismo cattolico negli anni ’50, poi attento e critico consigliere del sindacato unitario. Il professore fu uno dei maggiori diffusori della dottrina keynesiana, della quale colse gli elementi innovativi convinto che, poiché il mercato è una creazione umana, l’intervento pubblico debba essere una componente necessaria e non un elemento vessatorio. I suoi studi vertevano soprattutto su welfare, distribuzione del reddito, difetti del sistema-mercato e bisogno di assicurare occupazione e protezione sociale ai più deboli. Alle migliaia di studenti che hanno avuto la fortuna di averlo come docente, Caffè dedicò l’intera vita; i giovani lo amavano per la lucidità espositiva, la veemenza contro le ingiustizie, la prosa colta ed essenziale. Il professore non si stancava mai di trasmettere il suo sdegno di fronte all’idea che “un’intera generazione di giovani debba considerare di essere nata in anni sbagliati e debba subire come fatto ineluttabile il suo stato di precarietà occupazionale”. Profondamente rispettoso di tutte le scuole di pensiero, era sempre fedele al dubbio sistematico. Cosa sia accaduto quella notte a Roma non si è mai saputo. Sul comodino del professore furono trovati solo l’orologio, i documenti e gli occhiali; ma forse c’era anche il dolore per l’età della pensione, che l’aveva allontanato per sempre dai suoi ragazzi.
Blasioli ricorda quello che Caffè diceva dei suoi alunni: “mi fanno sentire un monumento, mi piacerebbe sentirmi vivo” e sottolinea la grave dimenticanza anche della sua città.
“Noi pescaresi – conclude Blasioli – abbiamo un debito verso questo grande concittadino. Non dedicammo la giusta attenzione quando operava e lo dimenticammo dopo la sua scomparsa nel 1987…Ciò che Caffè non merita è la mancanza del ricordo di quello che fu in vita. Caffè aveva intuito su quali strade si avviava l’ economia. Non gli piaceva la piega presa in quegli ultimi anni dal paese, non poteva condividere la filosofia della Milano da bere, della ricchezza a tutti i costi, del gioco in Borsa fine a se stesso”.
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