Soprintendenza Abruzzo, L’Aquila contro Chieti. Continua la querelle sulla sede unica regionale della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, per la quale il ministro Franceschini ha indicato la città di Chieti.
Il botta e risposta tra Chieti e L’Aquila non si ferma: il senso di spoliazione è reciproco, sia il territorio teatino che quello aquilano temono un ulteriore depauperamento delle rispettive città capoluogo. L’ultima critica arriva ovviamente da L’Aquila, visto che la decisione assunta dal ministro “privilegia” in qualche modo Chieti. Il Comitato aquilano di Possibile, il movimento politico di Pippo Civati, in una nota diffusa oggi affrema:
“Le notizie degli ultimi giorni di uffici territoriali pubblici che da L’Aquila prendono altre strade, come la ministeriale Soprintendenza Abeap e la regionale Arap, sono soltanto le ultime, in ordine di tempo. Di un disegno molto preciso, di svuotamento di uffici e centri decisori, iniziato nell’immediato dopo terremoto, che però sta riuscendo ora al partito che contemporaneamente governa Paese, Regione e Comune. E’ incredibile come un disegno iniziato sette anni fa con i tentativi dei partiti di destra, si stia perpetrando oggi con sfacciata disinvoltura dal partito di governo. E non è una questione di campanili, come vogliono farla passare i maestri della distorsione della realtà, bensì di uffici, funzioni e lavoro che sono andati e continuano ad andar via dal capoluogo di regione. Che da una parte si vuole ricostruire fisicamente a parole, dall’altra si demolisce un atto dopo l’altro, con un avvilente squilibrio di intenzioni”.
In particolare, la nota sottolinea il rischio di spostamento dei lavoratori della Soprintendenza, che potrebbero essere trasferiti da una città all’altra o da un ufficio all’altro.
“Nonostante tante chiacchiere, – conclude la nota – parole vuote ed annunci roboanti, la verità è che per questa città manca un progetto complessivo, di ampio respiro e di lungo termine. L’unico ponte che serve a L’Aquila è quello sul futuro; un futuro che non riguardi una città svuotata di funzioni, di lavoro e – conseguentemente – di persone”.