La Regione Abruzzo e l’Azienda per il diritto allo studio (Adsu) condannate a pagare un milione e 200mila euro ai familiari di Hamade Hussein, uno degli 8 ragazzi uccisi dal crollo della Casa dello studente nel sisma aquilano del 2009. Era conosciuto come “Michelone”, per le fattezze, per la bontà, per la generosità, che ne faceva un po’ il fratello di tutti.
Una vittoria forse inattesa per la legale Wania Della Vigna e per i familiari del giovane, proprio perché raramente in Italia strutture dello Stato sono finite nelle maglie della giustizia e ritenute responsabili della morte di persone che, al contrario, avrebbero dovuto proteggere.
Sentenza di “Ferragosto”, visto che è stata pubblicata il 16 agosto scorso, e che suona già come un monito per altri crolli e quindi per individuare altre responsabilità: quelle per le morti di Amatrice, la “città sorella” dell’Aquila (in realtà un piccolo Comune della provincia di Rieti) che il 24 agosto del 2016, esattamente due anni fa, è stata rasa al suolo – insieme ad Accumoli e ad Arquata – da una scossa di 6.0 arrivata alle 3,36: quattro minuti dopo l’ora della scossa distruttrice dell’Aquila. Una sentenza importante anche dal punto di vista etico e non soltanto giuridico, “per il fatto che la responsabilità dimostrata della Regione Abruzzo e dell’Adsu riguarda l’essere venuti meno agli obblighi di legge, di protezione e di controllo degli elementi deboli della popolazione: ossia gli studenti fuori sede. Una sentenza che farà da apripista”, come spiega la legale Wania Della Vigna, e che è stata preceduta, nel 2016, dalla condanna in sede penale di quattro persone, tutti tecnici a vario titolo ritenuti responsabili.
L’avvocata Della Vigna ricorda che la “battaglia di legalità continuerà, perché oltre a Michelone, ci sono anche altri studenti sopravvissuti e familiari di vittime da difendere, vedremo quali saranno gli sviluppi. Tuttavia possiamo dirci soddisfatti – aggiunge la legale – perché la giustizia esiste e ha individuato le responsabilità a 360 gradi. Accanto alle responsabilità dei tecnici, dunque, c’è anche quella degli enti pubblici”.
Le accuse emesse invece dal Tribunale nel 2016 nei confronti degli imputati (gli ingegneri Bernardino Pace, Pietro Centofanti e Tancredi Rosicone e Pietro Sebastiani, presidente della Commissione collaudo dell’Azienda per il diritto agli studi universitari) furono di omicidio colposo, disastro e lesioni. L’edificio del 1965, secondo i giudici, era destinato a crollare perché, ancora prima dei lavori di ristrutturazione eseguiti nel 2000, era stato “totalmente, e pericolosamente, modificato rispetto al progetto originario e alla iniziale destinazione d’uso”. Nel dispositivo delle motivazioni di allora, si legge anche che:
Sussiste la responsabilità dei due enti ai sensi dell’art.2053, c.c. (disposizione da considerarsi speciale rispetto agli artt.2043 e 2051, c.c.): la Regione in quanto proprietaria dell’edificio e l’ADSU in quanto usuaria dello stesso, con obbligo di manutenzione ordinaria e straordinaria L’art.2053, c.c. pone in capo al proprietario la responsabilità per i danni derivanti dalla rovina di un edificio – fattispecie cui è con ogni evidenza riconducibile il crollo della Casa dello studente – a meno che non provi che essa non dipende da vizio di costruzione o difetto di manutenzione. La responsabilità ha carattere oggettivo e si basa sulla circostanza che chi dispone del potere, materiale e giuridico, di controllo e di intervento sull’immobile, è tenuto a rispondere dei danni che esso cagiona (vd. Cass. 18168/14). La disposizione si applica perciò anche a chi esercita un diritto reale di godimento (vd. Cass., Sentenza n. 1002 del 21/01/2010, Rv. 611048 – 01, cit.). L’uso attribuito all’ADSU – con disposizione di legge – e con esplicito obbligo di manutenzione ordinaria e straordinaria, impone di estendere anche a tale ente la predetta responsabilità.
In un altro importante passaggio, i giudici spiegano che:
“Orbene, nel caso di specie, detti Enti non solo non hanno fornito la prova liberatoria necessaria, ma risulta anzi positivamente accertato che l’immobile collassò per proprio per vizi originari di costruzione e per la difettosa manutenzione dello stesso, eseguita in dispregio delle cautele che avrebbero dovuto governare l’operazione”.
Quanto agli specifici fattori determinanti il crollo,
a perizia Mulas, in estrema sintesi, afferma che esso fu il prodotto della sollecitazione impressa dal sisma, dei gravi errori dell’ing. Botta (deceduto), autore dell’originario progetto dell’edificio de quo, nonché dalle modifiche progettate ed eseguite sotto la direzione degli ingg. Pace, Rossicone e Centofanti, che implicarono un considerevole aumento dei carichi verticali e l’apposizione della parete non strutturale, denominata in perizia parete REI, dotata di notevole rigidezza e resistenza e collocata in corrispondenza della trave 18-29: tali interventi influenzarono negativamente la cinematica del crollo – che comunque sarebbe derivato dall’effetto combinato del sisma e degli errori progettuali del Botta – aggravandone le conseguenze. La prof. Mulas segnala in particolare come detta parete abbia negativamente e pesantemente interferito col regime statico di tutti gli elementi, pilastri e travi, ad essa adiacenti; in particolare, il cedimento dei pilastri del piano terra, ascrivibile al Botta, è stato amplificato in modo abnorme dal cedimento per taglio della trave 18-29, e dalla rottura dei nodi che collegavano le travi al predetto pilastro, con conseguente perdita d’appoggio dei solai che su di esse poggiavano. Dalla perizia emerge in particolare la violazione delle prescrizioni di cui al D.M. 16.01.96 da parte dei tre ingegneri, che imponeva, proprio in ragione dei lavori implicanti un aumento dei carichi, la verifica della statica dell’edificio e della sua „capacità’ di resistere, dal punto di vista sismico, alle modifiche apportate. I tre progettisti avrebbero cioè dovuto compiere tale verifica, primariamente esaminando il progetto originario del Botta, occasione in cui avrebbero potuto e dovuto rilevarne le gravi carenze.
Facendo proprie le considerazioni di un consulente esperto di terremoti, il Tribunale dell’Aquila escluse “il carattere eccezionale o anomalo del sisma, tale da renderlo cioè un evento imprevedibile e pertanto imprevenibile; in particolare, va evidenziato come il terremoto de quo, riconducibile scientificamente alla categoria ‘strong’, nell’ambito della quale vanno classificati mediamente 120 terremoti annui nel mondo, non rappresenti un evento assolutamente anomalo e tale da non dover essere considerato nel vaglio delle condotte umane che da esso possono essere influenzate, neppure per il territorio aquilano: a fronte della notoria sismicità della zona – valutata di II categoria, ossia media già da prima del 1965 – la città era stata in passato colpita da due terremoti di analoga intensità, nel 1461 e nel 1703; il fatto che terremoti analoghi a quello del 2009, in sé stessi non abnormi quali fenomeni sismici, si fossero già verificati, e per ben due volte, nella città di L’Aquila, dimostra che il sisma di cui si discute può essere semmai ritenuto raro, ma non certo eccezionale ed al di là dell’orizzonte di prevedibilità/prevenibilità.
Il servizio del Tg8