Cervelli in fuga: pubblicata sulla pagina Fb del ministro Poletti la lettera aperta di una mamma di Pescara.
Dopo le parole del ministro Poletti, e dopo il video di scuse pubblicato sulla sua pagina Facebook, resta di grande attualità il tema dei giovani che lasciano l’Italia per studiare o lavorare all’estero.
“Mia figlia è un cervello in fuga. In verità di figli ne ho due, gemelli. Ma lei è andata per prima. Lui lo farà, prima o poi, quando l’occasione busserà alla sua porta. Sono fatti così. Lei le occasioni se le va a stanare acchiappandole per i capelli, sempre in bilico tra stress ed entusiasmo, per fortuna con sana prevalenza per il secondo. Comunque anche lui è pronto ad espatriare, a portare il suo cervello a pascolare tra i grattacieli di New York; mica come la sorella che è tutta mitteleuropea, transalpina, scandinava, celtica, o di qualunque altro posto che sia nel vecchio continente. Lui di andare in AMERICA lo desidera da sempre, ancora prima che lei decidesse di andarsene. E così mentre lui oggi affaccia il capino per vedere se scorge quell’occasione giusta, lei è già andata. Fatto sta che ambedue sono cervelli in fuga, o in procinto di fuggire. Ammetto che la colpa è anche nostra, sempre che di colpa si possa parlare. Non siamo stati genitori-ombrello, perché noi per primi amiamo viaggiare, quindi i nostri ragazzi sono nati pronti. E poi a dirla tutta, signor Ministro, io mi sento cittadina europea – non è quello che volevate, che ci avete chiesto dalla nascita dell’Unione Europea? – anzi, a dirla tutta, sono una che potrebbe sentirsi a casa ovunque. Perché siamo noi a mettere radici, non sono mica le radici a crescerci dentro a nostra insaputa. Naturalmente viaggiare per vacanza è una cosa, espatriare per studiare o lavorare è un’altra; e fare ricerca (ossia lavorare e studiare allo stesso tempo) è un’altra ancora. I miei ragazzi oggi sono ingegneri, uno meccanico l’altra clinica; la tesi specialistica è vicinissima per entrambi. Da bambina mia figlia era portata per l’arte, in matematica era una schiappa. Ma alla fine del liceo ha capito che l’unica arte che le sarebbe interessata in futuro sarebbe stata quella del lavoro, così si è messa sotto per recuperare terreno in vista dei test di ingresso all’università, medicina o ingegneria “perché ho più chance di trovare subito un’occupazione”. Mio figlio invece l’ingegnere lo voleva fare da sempre per costruire le montagne russe, e non ha mai cambiato idea. Così oggi sono due ingeneri laureati al triennio e in procinto di dare la tesi specialistica. Mia figlia per la tesi se ne è andata in Olanda, dopo avere superato quello che doveva superare. All’inizio era per sei mesi, poi una volta lì ha superato anche una selezione alla Philips e se ne sono aggiunti altri sei: 1000 euro al mese per studiare e fare ricerca. Incredibile. All’Università, come tesista straniera, le fornivano regolarmente la carta, le fotocopie dei testi, il materiale di cancelleria. Ora, se volesse, potrebbe essere presa per un dottorato, gli euro diventerebbero 2000 per quattro anni. Sempre che la Philips non decida di tenersela e faccia scattare il vero contratto… Anche mio figlio, che è rimasto a Milano, ha fatto un tirocinio in azienda, ed è stato molto fortunato perché è finito in una delle rare che i laureandi li pagano: lui ha preso 400 euro al mese, i suoi compagni zero spaccato e ci dovevano mettere pure il costo dei mezzi. Ora questo per dirle, signor Ministro e signori Ministri che verranno (tanto ultimamente siete tutti un po’ fuori dal mondo reale) che io non so se mia figlia, con l’occasione giusta, le sarebbe “rimasta tra i piedi” in Italia. Ma, se oggi non ci fosse la paura degli attentati terroristici – sempre più presente, insinuante, vicina, rabbiosa – saperlo non mi interessa più di tanto. Felici loro, felici tutti, persino mamma e papà. E non perché ce li leviamo dai piedi. Invece mi dispiace che degli idioti si divertano a minacciare suo figlio su Facebook: non trova anche lei che forse, loro sì, sono dei “pistola”? Una certezza però ce l’ho, signor Ministro, e penso che su questo tutti voi dovreste riflettere a lungo, molto a lungo, prima di parlare: so che mia figlia non perde tempo, né in Italia né all’estero, perché non se lo può permettere; e che l’Italia potrebbe ringraziarla per l’impegno che ci mette, sia nello studio che nella voglia di divertirsi e di fare sport, o di conoscere il mondo e altri giovani come lei (o diversi, poco importa). E so anche che in fondo io e l’Italia siamo molto più simili di quanto sembri: ambedue abbiamo mandato all’estero i nostri giovani: io con il cuore di mamma, il mio Paese con il vuoto pneumatico delle sue alternative.
Una mamma”