Per la Cgil Abruzzo e Molise il bonus mamme è uno «specchietto per le allodole che penalizza le donne a basso reddito»
«Il Bonus Mamme è l’ennesima presa in giro nei confronti delle mamme d’Italia. Del bonus beneficeranno nella sua totalità le lavoratrici con stipendi medio alti, mentre le donne a basso reddito ne usufruiranno in misura irrisoria. Una misura, vero e proprio specchietto per le allodole, che conferma l’incapacità di mettere in campo un intervento ampio e strutturato nel tempo che affronti con serietà ed efficacia i problemi del divario retributivo di genere e del calo della natalità»: così la Cgil Abruzzo Molise commenta il cosiddetto bonus mamme, introdotto per il 2024 dalla Legge di Bilancio.
COSA PREVEDE IL BONUS MAMME
La legge di bilancio 2024 prevede l’esonero della contribuzione previdenziale (generalmente 9,19% della retribuzione), fino a un massimo di 3.000 euro annui da riparametrare su base mensile (dunque per un massimo euro 250 mensili), per le lavoratrici che hanno almeno tre figli. Per il solo 2024, in via sperimentale, il bonus è attribuito anche in presenza di due figli fino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo. Nel 2025 e nel 2026, invece, il beneficio è assegnato dalla nascita del terzo figlio e si conclude con il compimento del diciottesimo anno dell’ultimo figlio.
«L’agevolazione riguarda tutte le dipendenti del settore pubblico e privato (anche agricolo, in somministrazione e in apprendistato) con contratto a tempo indeterminato», spiegano il segretario generale della Cgil Abruzzo Molise, Carmine Ranieri, e la segretaria per le politiche di genere del sindacato, Alessandra Tersigni. «Sono escluse invece le lavoratrici domestiche. E sono escluse le lavoratrici assunte con contratto non a tempo indeterminato, ovvero tutte le lavoratrici precarie e quelle autonome. Una scelta totalmente insensata se pensiamo che proprio le lavoratrici più fragili dovrebbero ottenere la maggior tutela. Una seconda considerazione va espressa sullo strumento utilizzato per la corresponsione del bonus che consistendo in un esonero dei contributi previdenziali fa sì che all’aumentare del reddito della lavoratrice aumenti l’importo del sostegno. Invero la misura dovrebbe operare al contrario e aiutare le mamme con redditi più bassi.
Ma la vera beffa del Governo Meloni è rappresentata dal fatto che le mamme che decideranno di richiedere il bonus perderanno l’agevolazione accordata alla generalità dei lavoratori dipendenti relativa all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore. Dunque la scelta del bonus mamma fa perdere l’analogo taglio contributivo già percepito.
In sintesi, a usufruire in maniera piena del bonus mamme saranno soltanto le lavoratrici che percepiscono un reddito mensile superiore ad euro 2.692 mensili.»
Secondo i calcoli della Cgil, lo sgravio dovrebbe interessare solo il 6% delle lavoratrici: una platea ridotta, che non considera le lavoratrici con un solo figlio, neppure nei casi in cui questo sia affetto da disabilità.
«Le scelte compiute dal Governo in tema di lavoro continuano a essere condizionate negativamente da coperture limitate e insufficienti. Nonostante l’anno che si è da poco concluso sia stato caratterizzato da un incessante refrain governativo sul tema della denatalità, il governo nei fatti non fa nulla per affrontare seriamente la questione. A cominciare dal combattere il lavoro precario che riguarda prevalentemente le donne e dall’investire in servizi pubblici per l’infanzia. Ben altre sarebbero le misure che dovrebbero essere messe in campo per consentire alle nuove generazioni la possibilità di progettare serenamente il futuro», concludono Ranieri e Tersigni.