L’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi che con i fondi delle banche italiane private permise alla Popolare di Bari di salvare la Tercas nel 2014, non fu un aiuto di Stato. Una sentenza del Tribunale dell’Ue apre la strada ai ricorsi.
La notizia diffusa ieri arriva dal Tribunale dell’Ue che boccia la commissione europea per avere in sostanza posto un veto all’uso dello strumento del Fondo interbancario costringendo l’Italia a percorrere altre strade, tra cui il ricorso all’arbitrato o quello del giudizio penale. La Banca Popolare di Bari, come ha annunciato ieri il presidente Marco Jacobini, valuterà determinazioni su eventuali azioni di rivalsa e di richiesta di risarcimenti nei confronti della Comunità Europea.
Questa decisione, assunta nel dicembre del 2015, ha causato ingenti danni alla Banca, ai suoi soci e a tutti gli altri stakeholder, anche per i notevoli ritardi provocati nella programmata azione di crescita e sviluppo del gruppo Banca Popolare di Bari – ha spiegato Jacobini.
La sentenza di 27 pagine, emessa ieri dal Tribunale dell’Unione europea, sancisce un principio molto importante – come spiega l’avvocata Vanna Pizzi, che ha curato il ricorso di alcuni risparmiatori all’epoca del crac delle banche e ha difeso i risparmiatori del comitato di Pizzoli, in provincia dell’Aquila – in quanto con essa si chiarisce definitivamente che l’utilizzo del Fondo interbancario non costituisce aiuto di Stato e quindi può essere legittimamente utilizzato nei casi in cui istituti bancari attraversino forti difficoltà economiche.
L’impossibilità di tempestivamente utilizzare lo strumento ha potuto avare conseguenze negative anche su altri casi di crisi bancarie (esempio Banca Etruria e tutte le altre in liquidazione) per le quali il Fondo avrebbe invece potuto pienamente svolgere la sua funzione mutualistica e di garanzia e sostegno dei propri membri (banche stesse), garantendo così il sistema bancario ed il tessuto economico del Paese.
Dopo la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (che costituisce uno dei pochissimi casi in cui viene riconosciuto formalmente che la Commissione europea è incorsa in errore ritenendo che le autorità italiane avessero esercitato un controllo pubblico attivando l’intervento del Fitd a favore di Tercas, sbagliando così nella valutazione di un importante strumento appartenente al sistema economico e finanziario di un Paese membro.
La domanda a cui occorrerà rispondere al più presto è se il Fondo sarebbe potuto – senza il veto europeo – intervenire anche per le altre crisi bancarie, fra cui appunto quella di banca Etruria.
Se il Fitd avesse ritenuto di poter agire, quasi probabilmente sì – aggiunge l’avvocata Vanna Pizzi – se poi avesse avuto la libertà di agire la situazione attuale, e faccio riferimento sia a quella dell’Istituto che dei risparmiatori rimasti invischiati nel crac, sarebbe potuta essere ben diversa, meno onerosa. Se il Fondo avesse deciso di intervenire, com’è probabile per salvare il buon nome dell’Istituto e del mercato finanziario, è legittimo immaginare che la gravosissima situazione di perdita dei risparmi per molti risparmiatori non si sarebbe determinata con l’impatto che purtroppo abbiamo avuto modo di verificare.
Ora i legali e i comitati dei cittadini beffati dai crac bancari stanno valutando la possibilità di rivendicare una lesione dei propri diritti, in quando appare possibile immaginare che se ci fosse stato l’intervento del Fondo esso avrebbe probabilmente limitato molto i danni.
La Pizzi sintetizza:
Qualora la Commissione europea non ritenga di opporsi alla sentenza, è legittimo immaginare un’ipotesi in cui la stessa Commissione avanzi una soluzione negoziale e risarcitoria per i risparmiatori, in modo che gli stessi possano essere integralmente ristorati dei danni causati dall’errore di valutazione commesso dalla stessa Commissione europea che ha di fatto impedito l’intervento del Fondo.
Quanto all’arbitrato (che è un procedimento di natura civilistica, al quale ha fatto ricorso l’80% dei risparmiatori del Comune aquilano di Pizzoli, il 75% di essi ha ottenuto una sentenza favorevole di accoglimento del ricorso arbitrale con un ristoro del 100%.
Intanto nel Tribunale penale di Arezzo si sta svolgendo il procedimento nei confronti degli ex amministratori, dirigenti e vertici di Banca Etruria che hanno contribuito a causare il crack della banca ed a cui sono contestati i reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta colposa e dolosa. Il 2 aprile 2019 si terrà la prima udienza dibattimentale. A curarlo è l’avvocato del foro di Roma Dario Piccioni.