Dopo vari rinvii questa mattina, mercoledì 27 ottobre, davanti al giudice monocratico Domenico Canosa, si è aperto il dibattimento del processo sull’acqua del Gran Sasso.
Dopo il rigetto, da parte del giudice, delle eccezioni sollevate nella scorsa udienza dalla difese dei dieci imputati, c’è stata l’audizione del primo teste citato dalla Procura, il comandante del Noe di Pescara Antonio Spoletini, che nel 2017, insieme ai suoi colleghi fu delegato a svolgere tutta una serie di indagini nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla Procura di Teramo dopo alcuni sversamenti.
Nel corso della sua audizione Spoletini ha ripercorso tutte le tappe delle indagini, evidenziando quelle che per i militari e per la Procura sarebbero tutta una serie di interferenze tra l’acquifero e le opere antropiche realizzate, a partire dai laboratori e dalle gallerie autostradali.
“Dalle indagini è emerso come le strutture antropiche sono completamente immerse dentro l’acquifero – ha detto Spoletini – il Gran Sasso è come una spugna, l’acquifero sta dappertutto. E quindi qualsiasi attività è potenzialmente foriera di influenze negative”.
Spoletini, in relazione alla convivenza della varie infrastrutture ha parlato di “condominio impossibile”, dichiarando come già l’ex commissario Angelo Balducci, nominato nel 2003 (dopo uno sversamento che portò all’apertura di un’inchiesta e al sequestro all’epoca dei laboratori) per la messa in sicurezza dell’acquifero nella relazione introduttiva dei lavori evidenziò la necessità di un “rifacimento completo di tutte le condotte e della perfetta impermeabilizzazione pavimentale” di laboratori e gallerie. Lavori che però, secondo quanto dichiarato da Spoletini, sarebbero stati realizzati solo in parte. Dopo l’audizione del comandante del Noe il processo è stato aggiornato all’udienza dell’8 novembre.