Sulle vicende di Juan Carrito si è detto e si è scritto molto, in qualche caso anche troppo. L’ondata di affetto per il “nostro” orsacchiotto birichino è stata travolgente e ha riguardato tutti, ma allo stesso tempo ha contribuito a far emergere i problemi e le difficoltà che la specie affronta nella sua dura lotta per la sopravvivenza
Per una regione come l’Abruzzo, che ha fatto della biodiversità e dei parchi il proprio must, il tema è quanto mai importante. Non è un caso dunque che se ne parli anche alla Bit di Milano, infatti domenica 12 febbraio la complessa gestione di questa specie sarà oggetto dell’incontro “La terra degli orsi. La sfida delle responsabilità”, organizzato dal Pnalm anche alla luce dei recenti fatti che hanno coinvolto Carrito.
“Per evitare l’estinzione di questo magnifico animale – spiega il direttore del Parco nazionale Lazio Abruzzo e Molise, Luciano Sammarone – occorre espandere il suo areale oltre i confini del parco. Purtroppo, però, fuori dal parco le criticità aumentano, perché i territori non sono sicuramente a misura d’orso e le persone non sono abituate a questo splendido animale. La vera sfida, quindi, sta nella crescita della cultura della coesistenza e nell’impegno costante e responsabile di tutti gli enti chiamati a confrontarsi con la presenza del plantigrado. La salvezza dell’orso bruno marsicano è anche la nostra. Dobbiamo tutti insieme dimostrare di non essere sordi di fronte ai problemi ambientali, perché non abbiamo un altro pianeta oltre alla Terra”.
Ritornando ai giorni immediatamente successivi alla morte di Juan Carrito, Sammarone aggiunge:
“Purtroppo oltre ad attestati di vicinanza e critiche costruttive si è dato spazio ad ipotesi complottistiche su presunte responsabilità che non hanno nulla a che fare con i fatti. Nessuno avrebbe voluto il tragico epilogo del 23 gennaio, soprattutto chi, come noi, si è dato da fare per assicurare alla mascotte degli orsi marsicani un futuro in libertà. Solo l’ignoranza, la superficialità e soprattutto la malafede di alcuni personaggi che usano i social per sfogarsi hanno potuto maturare l’idea di un complotto, fino ad arrivare all’assurdo: la morte di Carrito ci avrebbe risolto un problema! Se lo avessimo solo lontanamente pensato, ci saremmo battuti per metterlo in gabbia, come da più parti suggerito. Ma quando si lavora con passione e competenza si affrontano sfide, si prendono decisioni, spesso impopolari, e ci si mette la faccia. Questo abbiamo fatto per Carrito”.
Sammarone spiega anche che si è scoperto che Carrito aveva perso l’occhio destro solo in occasione della cattura nell’area dell’Aremogna (dicembre 2022), finalizzata alla sostituzione del radiocollare.
“Ad ogni modo, – aggiunge Sammarone – al momento della morte Carrito non presentava nessun problema fisico legato al radiocollare, come testimoniato da chi per primo è giunto sul posto. Le informazioni relative al quadro clinico generale di Carrito, rilevate nella cattura del 14 dicembre, compreso il problema all’occhio destro, e quelle relative al collare, erano tutt’altro che segrete, sono correttamente riportate nella relazione di servizio datata 15 dicembre e firmata dei tecnici del Parco che avevano gestito la cattura. Trasmesse poi a tutti i soggetti istituzionali coinvolti nella gestione di Carrito: Ministero dell’Ambiente, ISPRA, Regione Abruzzo, Parco Nazionale della Maiella e 4 Reparti territoriali dei Carabinieri Forestali.
La scelta di non dare informazioni al pubblico era derivata unicamente dall’esigenza di ridurre la pressione mediatica sull’orso più seguito del web e inseguito da cittadini, curiosi e fotografi. Su Carrito si era sviluppato, nonostante le regole, un vero e proprio business: addirittura, previo pagamento, alcune persone venivano accompagnate a vederlo. Il radiocollare di Carrito, installato dai colleghi del Parco Nazionale della Maiella, aveva smesso di funzionare e doveva essere rimosso, anche perché l’orso era molto cresciuto e lo strumento gli aveva determinato problemi cutanei, oggetto di trattamento medico-veterinario in occasione dell’ultima cattura, il 14 dicembre 2022. Proprio l’esigenza di consentire alle ferite di rimarginarsi e in considerazione del fatto che l’orso si avvicinava all’ibernazione invernale, si è scelto di non sostituire il radiocollare, rinviando l’operazione alla primavera 2023, cioè alla ripresa delle attività primaverili. Il collare era dotato di sistema drop-off, che consente lo sgancio a distanza, a differenza di quanto scritto sui social, confermandoci l’approccio sempre molto superficiale e saccente di taluni “maestrini” del web. Il fatto che il collare avesse smesso di funzionare ha impedito lo sgancio automatico, a distanza, dello stesso. Non conosciamo le cause della rottura dell’apparecchio, e forse solo i tecnici della Maiella riusciranno a ricostruire il tutto insieme alla ditta del radiocollare. Quale che sia il motivo, non si capisce davvero se e come si sarebbe potuto pensare di evitare la tragedia, pur in presenza di un apparecchio perfettamente funzionante: a meno di non pensare che il radiocollare sia una specie di joy stick con cui telecomandare Carrito indirizzandolo a piacimento in giro per il territorio.”
Nei giorni della morte dell’orso è circolata parecchio anche un’altra domanda riguardante lo stato di salute degli occhi:
“La vista – risponde Sammarone – in generale non è il senso più sviluppato degli orsi, che invece fanno affidamento sull’olfatto e sull’udito. Invocare il fatto che l’orso non avrebbe visto arrivare l’auto che l’ha investito, di notte e al buio, significa semplicemente ignorare la biologia di base di questi splendidi animali. Si muovono prevalentemente di notte, si spostano sul territorio, si nutrono di alimenti che trovano in natura, cibi come le larve di insetti, che non vedono affatto, ma che trovano solo con l’olfatto, senza contare le predazioni al bestiame domestico o ad arnie e a pollai, oppure quando mangiano le ciliegie e il ramno. Gli orsi non usano la vista come senso principale, è un fatto scientifico ed inequivocabile, come dimostrano esempi di altri animali osservati in natura che presentano ferite importanti nella zona oculare a seguito di combattimenti, senza per questo presentare problemi di nessun tipo. Ancora una volta la Scienza, studiata per bene e praticata in modo rigoroso, dovrebbe insegnare prudenza nell’esprimere giudizi improvvidi”.
Quanto alla ferita che ha dato origine alla perdita dell’occhio, sono state fatte molte ipotesi, ma nessuna suffragata da prove:
“Visti gli spostamenti che faceva, le numerose incursioni in pollai registrate nel corso del 2022, le baruffe con altri orsi per il territorio… Ma ogni ipotesi priva di fatti oggettivi sarebbe ovviamente fuorviante, così come del tutto priva di fondamento è quella, ai limiti della calunnia, di un incidente derivato dall’uso dei proiettili di gomma durante la dissuasione, visto che nel corso del 2022 non si è mai fatto ricorso all’uso del fucile per la dissuasione, perché Carrito per buona parte dell’anno ha fatto l’orso (restando in montagna). Nell’operazione di traslocazione del marzo 2022, operata dai tecnici del Parco Maiella, l’occhio era perfetto. Purtroppo, al momento della cattura di dicembre per il cambio di collare, l’occhio destro era già completamente perso. Quindi le illazioni palesemente strumentali sono gravi e false e le respingiamo con forza. Un conto sono le critiche costruttive, un altro le ipotesi che mirano solamente ad incrinare la credibilità del Parco, come se questo facesse bene agli orsi, visto che siamo l’unico Ente sul territorio che lavora esattamente per la conservazione della biodiversità”.
Il direttore del Pnalm ribadisce anche ciò che molti dimenticano: Juan Carrito era un orso libero, non confinato in un’area faunistica protetta, pertanto non poteva essere oggetto costante di cure ambulatoriali.
Infine Sammarone stigmatizza anche un altro aspetto relativo alla ricostruzione dell’incidente azzardata da qualcuno:
“ . Frutto di informazioni parziali, di nessun rilievo oggettivo sul campo, nessuna conoscenza della dinamica dei corpi in movimento e soprattutto dei mezzi che viaggiano su strada visto che per arrestare un’auto occorrono circa 9 metri a 30 km/h; circa 15 metri a 50 km/h; circa 28 metri a 100 km/h, ecc. Le ipotesi da film di investigazione non spettano a noi, quello di cui siamo certi è che le ultime impronte di Carrito sul muro erano rivolte verso la strada e non c’erano le sue tracce sulla neve alla base del muro nella cunetta stradale, né tantomeno dei suoi possenti unghioni sul muro. Se davvero Carrito fosse sceso all’indietro dal muro come qualcuno sostiene, le impronte dell’orso dovevano essere rivolte al contrario e soprattutto dovevano essercene alla base del muro. Per questo l’unica ipotesi seria è quella del salto in mezzo alla carreggiata di un orso possente, lungo 174 cm circa e alto 83 cm al garrese. Quello che è successo dopo noi non lo sappiamo. Di sicuro però i rilievi hanno accertato il punto in cui l’auto si è arrestata dopo aver investito l’orso, dove non è morto perché si è trascinato ancora per alcuni metri in avanti in direzione Roccaraso. La caccia alle streghe non ci appartiene e siamo ovviamente pronti a rispondere ad eventuali contestazioni formali nel caso ci venissero presentate dalle autorità competenti, però riteniamo di non dover essere messi sempre e comunque sul banco degli imputati. Va bene la ricerca della verità: chi ci segue lo sa bene che non ci siamo mai tirati indietro; ma la continua ombra sul nostro operato, che qualcuno si diverte a cavalcare, ha proprio stufato. Tutto nella vita si può fare meglio, ma rispetto a Carrito il nostro impegno è stato totale. Ci siamo sempre assunti la responsabilità di porre rimedio ad ogni situazione critica, soprattutto fuori dal Parco e anche in pieno inverno”.