Prima gli investigatori, che hanno ricostruito il contesto geo politico della vicenda, poi la testimonianza di alcuni familiari: è entrato nel vivo in Corte d’Assise a Chieti, il processo a Stefano Costantini, il 24enne nato in Svizzera, con i nonni paterni di Loreto Aprutino, ritenuto un foreign fighter e accusato di aver partecipato, dal 2015, all’associazione terroristica di matrice islamista Jahbat Al Nusra, articolazione di Al Qaeda in Siria.
Costantini lasciò la Svizzera nel 2014 per trasferirsi stabilmente, con la compagna e i figli, in Siria, nella provincia di Idlib. Diventando, secondo l’accusa, parte integrante dell’associazione terroristica, arruolandosi per compiere atti di violenza con finalità di terrorismo e appoggiando le finalità belliche in territorio siriano contro lo stesso stato sovrano della Siria e contro le milizie curde. Accusato anche di aver compiuto,
attraverso Facebook, apologia del terrorismo e istigazione a commettere crimini aventi tali finalità.
L’accusa, con la pm Simonetta Ciccarelli, ha puntato molto su una foto che ritrae Stefano Costantini – che segue il processo in videoconferenza dal carcere – con mimetica e kalashnikov in territorio siriano, una foto mostrata ai familiari. “Papà sono qui non per la guerra, ma per aiutare queste povere persone” sarebbe una delle frasi pronunciate durante la prima telefonata al padre. “Non mi ha mai parlato di combattimenti – ha riferito l’uomo – E’ tornato per dare un futuro ai figli, lì non era come gli avevano raccontato”.
“C’è stata una ricostruzione da parte della Digos, anche rispetto a quelli che sono i territori dove Costantini era in quegli anni, ma ciò non significa che Costantini fosse lì per fare quello che ci dice la Digos – ha detto l’avvocato Massimo Solari, difensore di Costantini -. Questa è un’ipotesi accusatoria che andrà dimostrata nel corso del processo, al momento ritengo che non sia stata assolutamente dimostrata. Non sono assolutamente d’accordo sulle deduzioni che fa l’accusa dalle risultanze tecniche, risultanze tecniche che sono oggettive, ma le deduzioni non lo sono affatto. Non ci sono prove e neanche indizi che dimostrino che Costantini sia un terrorista”.
Nella foto il momento dell’arrivo di Costantini all’aeroporto di Pescara: era il 20 gennaio scorso e veniva portato in carcere a Teramo.
I FATTI – Destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare emessa nel 2017, il 24enne è stato rintracciato nei pressi di Idlib, in Siria. Grazie alla collaborazione delle autorità turche e degli uomini dell’Aise, il giovane è stato trasferito ad Hatay dove è stato preso in consegna dalle nostre autorità di polizia.
Le accuse nei suoi confronti sono associazione con finalità di terrorismo anche internazionale, arruolamento, apologia del terrorismo e istigazione a commettere crimini aventi tali finalità.
L’indagine è stata coordinata dalla procura de L’Aquila: il giovane, di origini abruzzesi ma poco dopo la nascita trasferitosi in Svizzera con la famiglia, si è convertito all’islam da minorenne e successivamente ha intrapreso un percorso di radicalizzazione. Dopo aver spostato l’ideologia jihadista, il 24enne si è trasferito nel 2014 in medio oriente, aderendo a Jabat Fatah al Sham, una formazione di stampo qaedista, insieme alla moglie, una cittadina turca dalla quale ha avuto tre figli. Le indagini degli uomini e delle donne dell’Antiterrorismo e della Digos hanno consentito di accertare che il giovane ha partecipato anche a dei combattimenti tra le fila dei gruppi terroristici affiliati ad Al Qaeda tra la Siria e l’Iraq e ha svolto attività di proselitismo.
A carico del 24enne accuse che vanno dall’aver partecipato ad un’associazione terroristica di matrice islamica quale Jabhat Al Nusra – affiliata al movimento terroristico Al Qaeda – passando per la diffusione attraverso la piattaforma del social network Facebook alcuni video inneggianti allo Stato Islamico.
Le informazioni ottenute in seguito ad una rogatoria internazionale e la collaborazione della Turchia hanno consentito agli investigatori di localizzarlo nell’area di Idlib, dove viveva con la famiglia: il giovane, una volta rintracciato, ha chiesto di potersi consegnare alle autorità italiane. Gli uomini dell’Antiterrorismo, dell’Aise e della Digos di Pescara sono così andati ad Hatay, città nei pressi del confine siriano, per prendere in consegna il 24enne.
Il 19 gennaio 2021, all’aeroporto di Hatay in Turchia, i poliziotti turchi hanno consegnato a quelli italiani il foreign fighter di origini abruzzesi che, una volta terminate le procedure di rito, è stato imbarcato su un volo di Stato diretto all’Aeroporto d’Abruzzo ( FOTO) . Sulla pista dello scalo abruzzese c’erano ad attenderlo gli investigatori della DIGOS e della Questura che lo hanno condotto in Questura.
Le indagini della DIGOS di Pescara sono iniziate alla fine del 2014 ed hanno consentito di acquisire numerosi elementi probatori circa il reale sostegno del cittadino italiano alle fazioni terroristiche operanti in quei territori di guerra. Per giungere all’individuazione della persona arrestata, i poliziotti italiani hanno utilizzato strumenti investigativi tecnici e – anche alla collaborazione delle polizie svizzere e turche – sono riusciti ad acquisire importanti riscontri dell’effettivo coinvolgimento del soggetto nei combattimenti sul territorio siriano contro le truppe del presidente Assad e riguardo alla sua costante presenza nell’area, al confine tra la Siria e la Turchia, controllata dai gruppi di Jabhat Al Nusra.
È stata, quindi, emessa a carico dell’indagato, nell’ottobre del 2017, un’ordinanza di custodia cautelare, con Mandato di Arresto Europeo e successiva diffusione delle ricerche in campo internazionale.
L’operazione, essenzialmente di polizia giudiziaria, ha assunto nei mesi successivi anche una rilevanza di carattere umanitario avendo consentito la messa in sicurezza del nucleo familiare del terrorista, in vista del loro rientro in Turchia, composto dalla moglie tedesca – di origini turche – e di quattro figli minori (di 10, 5, 4 e 2 anni) di cui gli ultimi tre, nati in Siria ma a tutti gli effetti cittadini italiani.
Quest’ultimo obiettivo è stato raggiunto anche attraverso un’importane attività di cooperazione tra la polizia italiana e quella turca con il coinvolgimento delle autorità diplomatiche italiane presenti in Turchia.