Coronavirus, ristoratore dell’entroterra pescarese: “Dopo riapertura cig dannosa, meglio sgravi. Incassi dimezzati per restrizioni, impossibile garantire stipendi”.
“È un peccato che il Governo non abbia studiato delle misure ad hoc per il settore della ristorazione, prevedendo un sostegno economico specifico per le riaperture, con sgravi e contributi a fondo perduto, per garantire gli stipendi ai lavoratori e, allo stesso tempo, la soddisfazione della clientela: la cig, una volta riaperto i locali, si sta rivelando un boomerang perché con tutte le nuove restrizioni e il distanziamento, che portano alla riduzione degli incassi effettivi dopo due mesi di stop, di fatto per il dipendente conviene restare a casa, perché io non posso garantirgli lo stipendio che gli davo prima”. A sottolinearlo è un ristoratore dell’entroterra pescarese, che vuole restare anonimo perché, per sua stessa ammissione, intende porre una problematica reale, senza cercare pubblicità, dopo alcuni giorni dalla riapertura della sua attività.
“Finché il ristorante era chiuso – spiega – la cig per i miei dipendenti andava benissimo: ma ora dovrebbe essere lo Stato a permettermi di ripartire con la stessa forza economica che avevo prima, visto che comunque incasserò di meno, in modo da sopperire alla diminuzione di stipendio dei miei dipendenti. Se ho meno persone al lavoro perché alcuni preferiscono restare a casa, con tutti gli obblighi sulla sanificazione, quindi maggiori oneri, sia dal punto di vista dei tempi, sia per la semplice preparazione, ne viene inevitabilmente danneggiato il servizio al cliente, quindi anche il suo grado di soddisfazione per quanto posso offrirgli. Prima del Covid-19 avevo un centinaio di coperti disponibili, oggi solo la metà, per di più su due turnazioni di orari, inframezzati dalla sanificazione: ovviamente gli incassi ne risentono notevolmente, al di là della voglia delle persone di tornare a mangiare fuori. Pertanto non posso dare ai miei dipendenti, faccio un esempio, 1.200 euro che davo loro prima dell’emergenza, ma circa 900 euro: visto che la cig ammonta a 750-800 euro alcuni preferiscono stare a casa e io mi ritrovo a dovere sopperire alla loro mancanza senza poter garantire un servizio adeguato alla clientela”. “Secondo me – aggiunge il ristoratore – il Governo avrebbe dovuto studiare questa problematica, perché la nostra categoria non può essere paragonata a una camiceria o a una fabbrica per quanto riguarda il sostegno al reddito: avrei preferito un sostegno al ristoratore finalizzato a garantire al dipendente un adeguato stipendio. Ad esempio se ricevessi un contributo di 600-700 euro per gli stipendi del dipendente, potrei adeguare i restanti 400-500 euro in modo da avere la stessa situazione retributiva precedente all’emergenza”.