Covid-19, l’Ordine degli infermieri della provincia di Chieti invita gli iscritti a vaccinarsi. Cicolini: “Tutelare pazienti ed evitare di sguarnire organici già penalizzati”. Mentre la FNOPI denuncia la carenza di infermieri, ne mancano oltre 60mila secondo la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche.
Un atto di responsabilità: è quanto chiede l’Ordine delle professioni infermieristiche (Opi) della provincia di Chieti agli infermieri iscritti che non hanno ancora iniziato o completato il ciclo di vaccinazione contro il Covid-19.
“Abbiamo il dovere – afferma il presidente provinciale dell’Opi, Giancarlo Cicolini – di preservare la nostra salute e quella dei pazienti. Non è il momento di abbandonarsi a dubbi e distinguo che non sono giustificati dai fatti, dai numeri e dagli studi che la scienza ci offre. Siamo a disposizione di tutti i colleghi per fornire loro le informazioni necessarie a chiarire eventuali perplessità, approfondire qualsiasi questione. Ma è questo il momento: tutti i professionisti sanitari devono vaccinarsi, salvo controindicazione, per continuare a garantire l’assistenza ai pazienti, evitando di ammalarsi di Covid-19 e di facilitare il contagio degli stessi assistiti. Per legge siamo tenuti a sospendere gli infermieri che non intendono vaccinarsi: vogliamo evitarlo, per garantire il lavoro e la dignità di questi colleghi e anche per non sguarnire ulteriormente gli organici e, in tal modo, penalizzare i pazienti. Ma per evitarlo la strada è una sola: vaccinarsi, rispettando il nostro ruolo e una professione basata su EVIDENZE SCIENTIFICHE non su dicerie e paure ingiustificate. Gli infermieri non hanno avuto alcuna paura ad affrontare la pandemia, oggi è il momento di dimostrarlo ancora una volta”.
Mentre la Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche denuncia la carenza di personale su tutto il territorio nazionale.
Infermieri: ne mancano oltre 60mila secondo la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI). E senza una soluzione alla carenza di organico chi rischi adi più è l’assistenza, ma anche l’applicazione del PNRR che punta tutto sull’assistenza territoriale. E ne mancano, anche in base alle dimensioni regionali, quasi 27mila a Nord, circa 13mila al Centro e 23.500 al Sud e nelle Isole.
Eppure quella dell’infermiere è la professione del futuro e lo è con maggiori responsabilità, specializzazioni e infungibilità della professione. All’estero tutto ciò c’è già e gli infermieri, ad esempio in Spagna, Francia, Regno Unito, sono anche prescrittori di farmaci non specialistici e di presidi sanitari. Che sia la professione sanitaria del futuro è evidente: nel 2020 è stata l’unica laurea tra le sanitarie che ha visto aumentare le domande di quasi l’8% contro una diminuzione, più o meno evidente, delle altre e secondo i dati a un anno dalla laurea in tempi pre-Covid già l’80% era in servizio. Ma c’è carenza: il rapporto infermieri-abitanti in Italia è di 5,5-5,6 infermieri ogni mille abitanti, uno dei più bassi d’Europa secondo l’Ocse e il rapporto infermieri-medici, che dovrebbe essere secondo standard internazionali 1:3 è, sempre secondo l’Ocse, inferiore di 1:1,5.
La pandemia ha posto sotto gli occhi di tutti quello che già da anni fà, con la sua laurea, i master, i dottorati di ricerca e, ora, la richiesta chiara di scuole di specializzazione e dell’infungibilità della professione.
L’infermiere assicura il buon andamento delle strutture anche evitando eventuali carenze o atti impropri di altre figure, ma deve essere supportato da un organico numericamente e professionalmente efficiente e dotazioni all’altezza di un’assistenza di qualità, altrimenti c’è il rischio di peggiorare la situazione e trasformare chi dovrebbe organizzare in un capro espiatorio di errori altrui.
La necessità di più infermieri è stata messa in evidenza anche da numerosi centri di ricerca.
Il Censis presentato ha quantificato la carenza rapportando per l’Italia la presenza di infermieri a quella dell’Emilia-Romagna, considerata Regione Benchmark, in 57.000 unità e ha considerato che se il confronto dovesse avvenire con altri partner europei, come ad esempio il Regno Unito – che fa tra l’altro continua richiesta di infermieri italiani – la carenza salirebbe a quasi 300.000 unità.
Secondo il Rapporto Crea Sanità dell’Università di Tor Vergata, la carenza in base ai parametri europei sarebbe di almeno 162.972 infermieri se rapportati al complesso della popolazione e 272.811 se rapportati alla popolazione ultra 75enne, che è quella di riferimento soprattutto sul territorio.
E secondo il concetto di staffing, il rapporto cioè tra infermieri e numero di pazienti assistiti che secondo i parametri medi nazionali e internazionali dovrebbe essere di un infermiere ogni 6 pazienti (ogni due nei servizi come pediatrie o terapie intensive e così via), mentre si assesta da anni a una media di 9,5 pazienti per infermiere con punte in alcune Regioni fino a 17-18 pazienti per infermiere.
Le possibili soluzioni
Per questo la FNOPI ha messo a punto per la prima volta alcune proposte diversificate tra loro su assi a breve, medio e lungo termine per far fronte alla carenza di professionisti con particolare attenzione a residenzialità privata e convenzionata e alle aree interne e disagiate. Il documento diventerà elemento ulteriore di interlocuzioni politiche e istituzionali della Federazione.
A breve termine – perché il problema è ora così come ora deve partire l’applicazione del PNRR – c’è ad esempio il superamento del vincolo di esclusività che oggi lega l’infermiere nel rapporto di lavoro con il servizio sanitario pubblico e la possibilità di esercizio libero professionale a supporto delle strutture sociosanitarie territoriali. Poi possono essere previsti progetti finalizzati a garantire il supporto in termini di prestazioni di assistenza infermieristica da parte delle Aziende Sanitarie alle strutture residenziali territoriali, con attività svolta al di fuori dell’orario di servizio e remunerata a parte. Altra norma da rivedere è quella di percorsi di incentivazione per “distacchi” o “comandi” dall’azienda sanitaria ospedaliera verso le strutture sociosanitarie territoriali, favorendo il riavvicinamento territoriale del dipendente considerata la residenza. E infine favorire l’accreditamento delle strutture sociosanitarie quali sedi di tirocinio dei corsi di laurea in infermieristica per potenziare le possibilità di svolgimento di tirocini curricolari da parte degli studenti del triennio quale strumento per lo sviluppo culturale in tale setting.
A medio termine si dovrebbero ridefinire le regole di accreditamento delle strutture in relazione all’evoluzione dei bisogni dei cittadini; valorizzare la professione infermieristica nelle strutture socio sanitarie territoriali; Prevedendo uno sviluppo in chiave clinica per attualizzare la necessaria maggiore pertinenza alla complessità e tipologia assistenziale di carriera e sotto il profilo gestionale; adeguare i contingenti forativi e valorizzare le competenze economicamente e sotto l’aspetto della responsabilità e dell’autonomia.
A lungo termine poi si dovrebbe favore il rientro degli infermieri italiani emigrati all’estero con incentivi in termini contrattuali ed economici. Attualmente si calcola che lavorino all’estero circa 20.000 infermieri italiani.