I resti di un’antica necropoli frentana riportati alla luce a Crecchio. Nell’Autunno del 2015 la Soprintendenza Archeologia dell’Abruzzo ha avviato, con l’ appoggio tecnico e le risorse fornite dall’Archeoclub d’Italia – Sede di Crecchio le prime indagini archeologiche nella contrada S. Maria Cardetola portando alla luce preziosi materiali antichi nell’area in cui nel 1855 era venuta alla luce la celebre stele con iscrizione osca.
Pubblichiamo integralmente il documento scientifico culturale inviato presso la redazione di Rete8. Nell’ambito degli scavi sono stati portati alla luce ed identificati numerosi preziosi oggetti appartenenti ad un grande deposito votivo, tra cui,vasellame a vernice nera, numerose statuine in terracotta raffiguranti animali, sacerdotesse e divinità femminili, lastre fittili raffiguranti un misterioso volto di donna affiancato da una fiaccola, a testimoniare un antico culto italico evidentemente riferibile ad una dea della terra, forse Kerres o Kardea, che nel II secolo a.C. i Frentani veneravano travestendola con gli attributi iconografici greci tipici di Demetra o Persefone.
Alcune tombe segnalavano la presenza di un ben più ampio sepolcreto, individuato a poca distanza nell’Aprile 2016 sempre grazie al supporto del summenzionato Archeoclub, e gli scavi
consentivano di esplorare una ampia necropoli italica, in particolare riferibile al popolo antico dei Frentani, di considerevoli dimensioni e densità, quasi 100 le sepolture scavate sino ad ora, databile fra fine del VI e IV secolo a.C., epoca quest’ultima a cui sono riferibili alcune delle sepolture più ricche.
E’ stata messa in evidenza la particolare ricchezza del sepolcreto e la varietà di oggetti, riti, elementi culturali, e veri e propri mondi rituali testimoniati dai corredi, con elementi assolutamente
eccezionali, fra cui anzitutto il rinvenimento assolutamente eccezionale di ben due elmi di bronzo, uno di tipo Montefortino (T.52) e uno di tipo Negau (T.53), il primo dei due è ben conservato, dato importante se si considera che dei circa quaranta elmi conosciuti in Abruzzo finora solo 4-5 provengono da contesti archeologici precisi.
Nella tomba 13, oltre all’abbondante corredo ceramico, era presente una singolare fascia di bronzo che si allargava sulla fronte del defunto a formare una falera circolare, un rinvenimento
unico nel suo genere, finora senza confronti in Abruzzo o nelle regioni vicine, segno dell’alto ruolo sociale del defunto, forse un magistrato o un sacerdote. In alcune delle tombe maschili sono presenti elementi più rari, che attestano l’evoluzione della tecnica militare in Italia durante e dopo le guerre sannitiche, essendo infatti attestate alcune punte di giavellotto strette e lunghe (T.52) che sembrano richiamare il “pilum” romano o il “saunion” dei Sanniti, sino a due spade corte (Tombe 21 e 52), possibili antesignani dei gladii romani. Nei corredi di pertinenza maschile erano anche ben 8 preziosi cinturoni in bronzo, elemento di identificazione etnica e di piena cittadinanza che i guerrieri sannitici portavano con orgoglio; significativo è il fatto che ben 3 cinturoni appartengano ad infanti (Tombe 7, 30 e 40), rinvenimenti del tutto eccezionali, considerando che in tutta Italia non sono conosciuti più di 15 cinturoni infantili,. L’ ideologia del banchetto è testimoniata dalla frequente presenza di set completi per la cottura della carne comprendente coltelli, spiedi di varia dimensione ed alari. Di particolare rilevanza, in ragione della importante economia agricola del territorio, è la documentazione restituita dagli scavi sul consumo del vino, ostentato nelle sepolture tramite la deposizione di coppe e, per una ristretta cerchia, di grandi olle con attingitoi posti all’interno, quasi per evidenziare il ruolo familiare nella mescita della bevanda; un certo grado di complessità nella degustazione del vino è testimoniato dalla presenza dei rarissimi colini in bronzo, usati per passare una bevanda che era sicuramente più pastosa di quella che conosciamo oggi, e delle grattugge, utili per aromatizzare il vino con spezie e formaggi; alla medesima consuetudine de dell’aromatizzazione possono collegarsi i residui di resina rinvenuti nell’olla da vino della T.33, ancora rilevabili con l’olfatto al momento dello scavo, e che – potrebbero rivelare interessanti elementi paleobotanici e di cultura alimentare.
Ancora numerosi i vasi in bronzo quali i calderoni ed una rara patera con gancio ad omega (T.53), connessi a usi raffinati nel mangiare e nel bere, e forse riconoscibili come preziosi elementi
importati, forse dalla Magna Grecia o dal Tirreno; ad analoghe importazioni appaiono riferibili numerosi vasi in ceramica depurata e dipinta che trovano confronti con la Daunia. L’abbinamento di sepolture ad incinerazione, pratica quasi sconosciuta tra gli Italici in Abruzzo, e simboli stranieri come lo strigile greco, potrebbe dimostrare in associazione con questa tipologia funeraria l’arrivo in Abruzzo di ideologie eroiche ed atletiche, a testimoniare importanti cambiamenti culturali avvenuti dopo le Guerre Sannitiche con l’aprirsi di questi territori al mondo mediterraneo.
A questo proposito di particolare interesse il rinvenimento di ben tre tombe a camera con preziosi corredi, e dromos discendente, come in tanti altri ipogei nel resto del Mediterraneo
Ellenistico, dalla Puglia al Medio Oriente. Anche le numerose tombe femminili sono caratterizzate da preziosi corredi, con da complessi apparati decorativi nella parte alta del corpo, che comprendono solitamente due fibule in ferro o bronzo sulle spalle, da cui pendono preziosi oggetti di importazione, a testimoniare non solo l’ostentazione del lusso ma anche i contatti commerciali probabilmente avvenuti per il tramite del vicino porto di Ortona, sicuramente già attivo nel IV secolo a.C.. Tra gli oggetti dei corredi femminili ricordiamo pendenti in bronzo di varia forma, preziosa ambra gialla e rossa, proveniente dal Baltico, dischi in probabile avorio, provenienti dal Nord Africa, che all’epoca ospitava ancora una popolazione di elefanti, collane e stole di perle in pasta vitrea blu, semplici o con decorazioni ad occhi, di chiara produzione punica e, soprattutto, presenza (T.43) di un grosso e raro passante fenicio del tipo a maschera virile., ed ancora rare decorazioni d’oro (T. 32), probabilmente cucite su fasce di stoffa, e di ben fibule di argento (T. 39), forse di provenienza tarantina.
Le necropoli di questa epoca nel territorio degli antichi Frentani sono ancora poche o comunque conosciute solo in maniera problematica, a causa della mancata pubblicazione di scavi
vecchi o di rinvenimenti casuali. Quella che sta venendo la luce a Crecchio è dunque certamente una delle grandi necropoli dell’Abruzzo antico, al pari dei meglio noti siti di Campovalano, Alfedena, Fossa, e Bazzano, necropoli che restava sinora sconosciuta ed è stata per la prima volta estensivamente esplorata. Fondamentale nella conduzione dello scavo è stata la sentita partecipazione della cittadinanza, coinvolta come di consueto dall’Archeoclub d’Italia – sede di Crecchio, che si è fatto carico del costo degli scavi, anche grazie all’impegno di strutture locali quali la Cantina Vini Citra, Farnese Vini, e tante altre realtà e cittadini locali, che hanno dato il loro prezioso contributo allo scavo, e stanno ora finanziando anche il restauro dei tanti preziosi reperti, e con l’importante supporto dell’amministrazione comunale del sindaco Nicolino Di Paolo. Le tombe sinora individuate erano collocate a notevole profondità, non meno di 1 metro ma anche 2-3-4 metri, riempite di pietre e terreno per un peso che arrivava a volte ad una tonnellata, e sono state scavate, il che rende ben difficile che siano individuate a scavate da parte di clandestini
non al corrente dell’esatta situazione stratigrafica del sito. La vigilanza dell’area da parte del Comando dei Carabinieri-Forestali di zona ha consentito e consente tuttora di lavorare e vigilare su questo prezioso patrimonio, il cui rinvenimento appare una importante opportunità da cogliere per lo sviluppo dell’economia locale, partendo dal’entusiasmo, la capacità operativa e l’ottima collaborazione con la Soprintendenza che il locale Archeoclub ha saputo dimostrare negli anni e che continua a mostrare con questi scavi. Da circa due decenni i volontari gestiscono infatti il Museo dell’Abruzzo Bizantino e Alto Medievale sito nel prestigioso sito del Castello di Crecchio, e la sua fondazione ha comportato un fermento nella comunità locale, portando benefici e la riqualificazione di un borgo che da questa istituzione ha saputo trarre linfa vitale. I preziosi reperti di nuovo rinvenimento possono venire conservati in loco e non trasferiti altrove, in modo da potenziare ulteriormente quelle funzioni di attrattore turistico che già svolgono il museo e quel monumento spettacolare che è costituito dal Castello Ducale che lo ospita, promuovendo un rilancio economico e turistico non solo per la comunità Crecchiese, ma per l’intero comprensorio dei paesi vicini, rimettendo in moto un volano di più ampio respiro che potrà toccare molteplici aspetti dell’economia locale. Proprio a tale fine il nuovo Soprintendente dell’Abruzzo Rosaria Mencarelli, con sensibilità ed intelligenza, ha voluto promuovere in collaborazione con comune di Crecchio ed Archeoclub, la definizione di un innovativo accordo di valorizzazione ai sensi dell’art. 112 comma 9 del Codice di Beni Culturali, che sostituisce in maniera innovativa la convenzione del 1005, è stato appena approvato dal Consiglio Comunale di Crecchio, e che ha previsto non solo l’esposizione a Crecchio del prezioso materiale archeologico della necropoli, ma anche nuove importanti occasioni di valorizzazione della stessa Crecchio, con un forte potenziamento dello stesso museo oggi esistente nel Castello ducale.
Si ribadisce come appare particolarmente importante in proposito il fatto che strutture importanti dell’economia locale, quali la Cantina Vini Citra e la Farnese Vini con l’innovativa struttura di Villa Baccile, oltre a tanti cittadini ed altre realtà locali, abbiamo voluto essere con grande sensibilità a fianco del progetto, finanziando da tempo sia gli scavi archeologico che il restauro già iniziato di vari fra i preziosi reperti rinvenuti.
L’articolo di Fabio Lussoso è perfetto. L’iniziativa di pubblicarlo è pregevole.
Richiama tutta l’attenzione del lettore e lo porta ad un passato che affascina.
Bravissimi. Sono molto riconoscente per avermi permesso di conoscere la scoperta e di visitarla.