Gli ucraini d’Abruzzo lanciano un appello all’Europa: “Non lasciateci soli”. Tra momenti di preghiera e raccolta di aiuti i circa 4 mila ucraini nella nostra regione sperano e non si arrendono all’idea che la pace possa avere la meglio
Questa mattina si sono riuniti in preghiera, a Pescara, in chiesa con il parroco don Dimitri dove la Guardia di Finanza ha portato la propria donazione. In Abruzzo sono 4.000 circa i cittadini ucraini, quasi 1.000 nella sola Pescara. Tante le testimonianze tra dolore e lacrime per chi ha lasciato in Ucraina i propri cari.
Questa mattina nella Chiesa greco-cattolica di rito bizantino del Santissimo Sacramento per l’Adorazione dì via dei Bastioni, il Comandante delle Fiamme Gialle di Pescara colonnello Antonio Capito, con un’aliquota di finanzieri e una folta rappresentanza ucraina che vive a Pescara, ha organizzato un momento di solidarietà con il popolo ucraino, raccogliendo, tra i militari del Comando di Pescara, beni di prima necessità e fondi da consegnare oggi stesso al parroco ucraino Don Dimitri. All’evento di questa mattina hanno
partecipato anche cittadini dì nazionalità russa come occasione di unione.
“Quello di oggi – ha detto il colonnello Caputo – è un momento di fratellanza verso il popolo ucraino e ringrazio per questo Don Dimitri che è oggi al nostro fianco. In questi giorni c’è stato un moto spontaneo per manifestare in maniera concreta un piccolo grande aiuto per chi vive un momento di difficoltà. Solidarietà e fratellanza vuol significare anche carità e ringrazio tutti per la partecipazione per questo primo gesto di vicinanza nei confronti anche della comunità ucraina
pescarese”.“Grazie ai finanzieri per la loro immensa generosità – ha detto Don Dimitri. Grazie anche ai miei ragazzi, fratelli, che
hanno capito che camminando uniti contro le ostilità, è possibile intonare insieme un inno alla pace. Aspettiamo e preghiamo oggi per la pace che arrivi al più presto”.
“È una guerra che va avanti da 8 anni – dice Olga – possibile che se ne siano accorti solo ora?”. Un’altra signora ucraina bacchetta l’occidente reo di aver venduto armi “ad un dittatore che non ci sta con la testa” taglia corto. Irina ha lasciato lì figli e nipoti, le sirene, le bombe, i morti in piena città. Una catastrofe che il mondo non può ignorare. “Il mio nipotino sente le sirene e piange”, dice. Intanto accanto alla comunità ucraina si schierano tanti abruzzesi, associazioni, lo stesso Consiglio Regionale. C’è bisogno di tutto in quel Paese allo stremo, medicine e generi di prima necessità che in tanti, anche nella nostra regione, stanno portando alle varie associazioni per poi farli partire per l’Ucraina.
La Asl dell’Aquila, intanto, si sta organizzando per accogliere i profughi dall’Ucraina: ieri una decina di persone sono state ospitate in case private nel comune di Tagliacozzo, in accordo con il sindaco e una quindicina di persone a Fagnano Alto dove il primo cittadino, Francesco D’Amore, ha aperto i moduli abitativi provvisori che erano stati costruiti dopo il terremoto del 2009 dell’Aquila. Queste persone devono rispettare cinque giorni di quarantena per il covid. In seno all’azienda sanitaria si sta attivando una rete di assistenza per verificare le condizioni di salute e fornire assistenza e per effettuare tamponi ed eventualmente vaccini anti Covid. “Ci aspettiamo un flusso di cittadini che fuggono dalla guerra e ci stiamo organizzando per l’assistenza insieme alle altre istituzioni, prima fra tutte la prefettura” spiegano fonti interne alla Asl guidata dal direttore generale, Ferdinando Romano.
“Ci servono armi e giubbotti anti proiettile”. E’ questa la richiesta che si sono sentiti recapitare per telefono alcuni imprenditori e rappresentanti istituzionali abruzzesi da parte di amici e conoscenti che in Ucraina. Non viveri o medicine, quindi, ma gli strumenti per organizzare la resistenza dopo l’attacco della Russia da parte dei civili.
Le istanze, naturalmente, non possono essere soddisfatte trattandosi di privati cittadini e istituzioni pubbliche. “Siamo rimasti frastornati, direi sconvolti, da quanto ci è stato chiesto – spiega un imprenditore – Sono richieste che vengono da persone che fino a qualche giorno fa vivevano in città e territori tranquilli, praticamente europei. Tutto questo ci deve far riflettere sulla portata e le conseguenze di questa assurda guerra che è arrivata a casa nostra”.