“La mega discarica più grande d’Europa non esiste. La terra rossa scambiata per rifiuto tossico, non era altro che la terra utilizzata da una antica fornace rimasta attiva fino agli anni ’60”. Così un ex dipendente Montedison.
Una voce decisamente fuori dal coro e controcorrente quella di Pasquale Antonucci, ex dipendente dello stabilimento Montedison di Bussi, impiegato per anni nel laboratorio analisi della fabbrica chimica. Una vita intera vissuta in quello stabilimento: è con queste premesse che Antonucci esce allo scoperto e avanza i suoi punti di vista per confutare le tesi delle perizie e dell’inchiesta che hanno segnato la delicata e clamorosa vicenda. Antonucci racconta di aver avviato, da tempo, un confronto con Alessandro Gargini, professore ordinario del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. Quest’ultimo è, tra le altre cose, l’autore della relazione tecnica sullo stato di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee lungo la valle del fiume Pescara, tra la discarica Tre Monti ed il campo Pozzi di Colle S.Angelo, risalente all’ottobre del 2012. “La contaminazione delle falde dovuta allo scarico della Montedison/Solvay non è affatto priva di fondamento – afferma Antonucci -: dallo stabilimento si scaricavano 6.500 metri/cubi all’ora con una concentrazione media di 300 microgrammi/litro e addirittura durante la gestione Solvay nel 2005 la media della concentrazione negli scarichi è salita a 600 microgrammi/litro. “Anche dopo il 2007- prosegue Antonucci- la contaminazione è continuata, causa era il collettore di scarico dello stabilimento, che essendo situato al di sotto della falda, drenava acqua di falda dello stabilimento inquinato”. “Sono già stati spesi 10 milioni di euro per una inutile copertura, sembra che altri 50 non basteranno – conclude l’ex dipendente Montedison ora in pensione – addirittura l’avvocato dello stato Cristina Gerardis parla di 2 miliardi di euro”.