La narrazione degli scontri stradali è spesso sbagliata, si usa una terminologia inadatta. La questione è stata approfondita nel libro Il valore delle parole, di Stefano Guarnieri e altri autori
Guarnieri, che ha perso il figlio Lorenzo proprio a causa di uno scontro, nella presentazione a L’Aquila ha citato come esempio la classica frase “macchina impazzita”, sottolineando come spesso si dia valore all’oggetto e non alla vita umana. Secondo Guarnieri sono forme di comunicazione rischiose che, in qualche modo, possono giustificare comportamenti pericolosi e illegali.
Stefano Guarnieri è vice presidente dell’associazione Lorenzo Guarnieri. Da sempre è impegnato sul tema dell’omicidio stradale, anche assieme ad altre associazioni locali come quella di mamma Erina Panepucci, che ha perso il suo Giuseppe, anche lui vittima di omicidio stradale.
“Gli inasprimenti e le norme ci sono – ha detto Guarnieri – ma non basta e bisogna fare di più”.
“Furgone investe madre e figlio”; “Auto impazzita entra nello stabilimento balneare”; “Ecco la curva maledetta”; “Il ragazzo è letteralmente volato” sono solo alcuni esempi del linguaggio sbagliato usato dai media in questi casi. Anche la pubblicità, secondo gli autori, propone contesti irreali e fuorvianti: automobili che sfrecciano da sole su strade deserte, tunnel che spuntano dal nulla e permettono di superare gli ostacoli senza perdere tempo, eccetera. Viene spesso esaltato il diritto alla velocità, a scapito della sicurezza degli utenti della strada.
“Se vogliamo fermare la violenza stradale che ogni anno causa nel mondo un milione e trecentomila vittime – ed è la prima causa di morte fra i giovani – dobbiamo anche cambiare la narrazione che promuove l’uso delle auto e descrive gli scontri stradali chiamandoli incidenti. Partiamo quindi dal non chiamarli così, perché non c’è niente di casuale quando accadono, e iniziamo a usare parole corrette, le più aderenti possibile alla realtà, per raccontare ciò che avviene sulle nostre strade”.