Circa 22 milioni di euro chiusi in chissà quali cassetti, soldi arrivati all’Aquila dallo Stato e dalle generose donazioni dall’Italia e dall’estero, blindati per realizzare il mega progetto “Auditorium e parco urbano di piazza d’Armi” ma dei quali non si sa più nulla. Così come non si sa nulla dell’ambizioso progetto avallato dalla passata amministrazione comunale.
Una storia in cui c’entra poco la burocrazia nemica degli appalti e dei lavori pubblici. Il progetto di Parco urbano rientra tra i contratti di valorizzazione urbana, un progetto enorme non soltanto nella sua portata materiale e urbanistica, ma anche simbolica rappresentando la riqualificazione di uno dei luoghi cittadini più amati dagli aquilani, all’ingresso ovest della città e adiacente alla pista di atletica ristrutturata dopo il sisma e dopo avere ospitato per mesi la principale tendopoli della Protezione civile all’indomani del 6 aprile 2009. Il ministero alle Infrastrutture selezionò il progetto di realizzazione dell’auditorium e del parco urbano di piazza d’Armi tra le opere prioritarie sul territorio nazionale, dopo una lunga trattativa con l’amministrazione Cialente e in particolare con l’assessorato alla Ricostruzione.
Tanto da ottenere, a seguito della sottoscrizione del contratto tra Comune e Mit (il 27 marzo del 2013), un cofinanziamento di 15 milioni di euro nell’ambito del “Piano città”. E c’è da chiedersi fino a quando lo Stato lascerà quei soldi parcheggiati nelle casse del Comune. Fondi che si vanno ad aggiungere ai 3 milioni donati dal Governo australiano (che li ha depositati in una banca a Roma tramite una società) e ai 4 milioni della Legge Mancia. Dal canto suo il Governo australiano, al quale la passata amministrazione regolarmente faceva un resoconto e rendicontazione dello stato dell’arte, già negli anni scorsi aveva mostrato una certa irrequietezza nel vedere allontanarsi la realizzazione del parco, un progetto definitivo brillante e avveniristico, vinto da “Modostudio” (Fabio Cibinel, Roberto Laurenti e Giorgio Martocchia), che puntò a “coniugare il tema del rapporto dell’area di concorso con il tessuto urbano adiacente – si legge sul sito dello studio di professionisti associati) e la volontà di realizzare per questa città un parco decontestualizzato dagli spazi urbani adiacenti, ma in diretta relazione con lo skyline delle montagne prossime. Questa affermazione, che può apparire un paradosso, si concretizzata lavorando su due aspetti importanti: il tema dell’artificiale e del naturale”. A realizzare l’opera avrebbe dovuto essere la ditta “Rialto costruzioni spa” di San Tammaro a Caserta, vincitrice della gara d’appalto (che è un appalto integrato). Che avrebbe dovuto realizzare, come obbligo di legge, anche il progetto esecutivo. Ed è proprio qui che tutto sembra essersi arenato. Già nel marzo del 2017 si disse vicina l’apertura del cantiere a cinque anni dal concorso di progettazione, tanto da meritare un titolo all’interno dello speciale del Sole24ore, “Edilizia e territorio”. Il concorso internazionale di progettazione fu bandito per il parco urbano dal Comune per un importo a base d’asta di 18 milioni e 600mila euro, per un progetto che abbraccia una superficie di 100mila quadrati, con un auditorium di 900 posti e con parcheggio interrato, un’area giochi, un’area sportiva e una grande piazza. Tutto circondato da spazi verdi.
Ma che fine ha fatto un’opera la cui non realizzazione sarebbe non soltanto una grande mancanza per la rinascita della città, ma anche uno schiaffo alla solidarietà mostrata verso i terremotati, oltre che segno di cecità politica, visto che lo Stato ha stanziato milioni di euro che potrebbe richiedere indietro? Dalle informazioni emerse dagli uffici comunali della Ricostruzione pubblica, le cui bocche – come in tanti altri uffici – con la nuova amministrazione sono chiuse in un silenzio inaccessibile (la ricostruzione è in capo al sindaco Pierluigi Biondi, che avoca a sé anche qualsiasi dichiarazione pubblica sulla ricostruzione e non ammette fuori uscite di informazioni dagli ambiti tecnici) sembrerebbe che la progettazione esecutiva (secondo la legge onere della ditta vincitrice dell’appalto) presentata dalla Rialto proponga una variante al progetto definitivo che prevede un aumento sensibile dei costi: circa il 50% in più. Mentre il progetto definitivo è stato ottenuto con un ribasso d’asta di oltre il 60%. Dunque, bisognerebbe aggiungere ai 22 milioni ulteriori 11 milioni di euro. Gli uffici comunali stanno passando in rassegna il progetto esecutivo per valutarne la validità. Non finisce qui, perché quando arriverà questa risposta, si dovrà ancora aspettare la parola finale dell’Anac. Se l’Autorità anticorruzione guidata da Cantone dovesse bocciare il progetto esecutivo e aumenti vari, si dovrebbe ricominciare tutto da capo: annullare la gara e così aspettarsi un ricorso della società e, forse, non vedere mai più il parco urbano così come progettato e sognato per la città nuova.