L’Aquila: sit-in per i tre palestinesi accusati di terrorismo

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Sit-in davanti al Tribunale dell’Aquila oggi per l’apertura del processo a carico di tre palestinesi accusati di terrorismo

A processo sono Anan Kamal Afif Yaeesh, Ali Saji Ribhi Irar e Mansour Doghmosh: secondo le autorità israeliane i tre avrebbero finanziato un gruppo armato del campo profughi di Tulkarem. Striscioni, bandiere della Palestina e scritte con slogan “La resistenza non si processa” sono state poste sulle inferriate a ridosso dell’ingresso principale del palazzo di giustizia aquilano.

Tra i presenti anche Khaled El Qaisi, ricercatore italo-palestinese, residente a Roma, che alla fine dell’estate 2023 è stato fermato al valico di frontiera con la Giordania e poi detenuto, senza accuse, in un carcere israeliano.

“Questa – ha detto – è un’udienza abbastanza importante, essendo la prima effettiva del processo. La difesa ha presentato una lista testi con diversi testimoni, diversi consulenti, anche al fine di riuscire a dare un contesto agli eventi che vengono loro attribuiti, fatti peraltro che hanno avuto luogo quasi sempre nei territori occupati e non in Italia”.

I legali chiedono di convocare in aula, tra gli altri, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, Stefania Ascari, deputata del Movimento 5 Stelle, Ronen Bar, dirigente dello Shin Bet, servizio di sicurezza interna di Israele, Don Nandino di Pax Christi, Riccardo Mattone di
Mediterranea Saving Humans.

“Il punto principale su cui si richiede la scarcerazione di Hanan, Ali e Mansur, dei tre palestinesi – ha aggiunto – verte sul fatto che vengono accusati di terrorismo per quello che è un diritto riconosciuto anche dallo stesso diritto internazionale e dal diritto internazionale umanitario. Per cui dalle convenzioni di Ginevra, la carta dell’Onu, addirittura una risoluzione dell’assemblea generale dell’Onu riconoscono il diritto al popolo palestinese a resistere anche ricorrendo alla forza.
Per cui, ammesso e non concesso che abbiano qualche ruolo di appoggio, di sostegno alla resistenza in Palestina, va inquadrato in quel contesto e non può essere trattato alla stregua di terrorismo”.

I tre imputati sono tutti presenti nell’aula C della Corte d’Appello del Tribunale dell’Aquila, i tre imputati Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh. Un quarto, recluso a Terni, è intervenuto in
videoconferenza.
L’avvio del processo è stato complicato per i legali dei tre imputati, Flavio Rossi Albertini, Pamela Donnarumma e Ludovica Formoso, i quali, come già avvenuto nell’udienza preliminare, hanno
chiesto l’esclusione dal fascicolo del dibattimento di 22 interrogatori di prigionieri palestinesi in Israele, ricevuti per rogatoria internazionale.
Gli interrogatori, condotti dallo Shin Bet e dalla polizia giudiziaria sono stati al centro della discussione.

“A nostro parere – ha detto all’ANSA Flavio Rossi Albertini – si tratta di atti non ripetibili che, ai sensi dell’articolo 431 cpp, non possono essere considerati nel dibattimento per una serie di ragioni, a partire dal fatto che ai prigionieri non è stata sempre garantita l’assistenza legale e spesso questi interrogatori vengono condotti in violazione di norme inderogabili. Oltretutto, il contraddittorio tra le parti è un elemento fondamentale del processo. Quale contraddittorio avremmo in questo caso, dal momento che non abbiamo possibilità di interagire con i detenuti interrogati?”.

Dei 22 interrogatori, una quindicina sono stati invece ammessi dalla Corte, ossia quelli in cui è stata riconosciuta agli interrogati la possibilità di essere messi in contatto con un avvocato. Per quanto riguarda i testimoni, solo 3 su 39 della difesa sono stati ammessi. Tutti e tre fanno parte della lista
di Doghmosh e tra loro c’è anche sua moglie. Il calendario delle udienze è piuttosto fitto e si estende fino al 9 luglio. La prossima udienza è in programma il 16 aprile, seguita da due udienze a maggio e tre a giugno, a cadenza ravvicinata.

“Ho fatto diversi processi in Corte d’Assise d’Appello – ha commentato Rossi Albertini – ma mai mi è capitato quello che sta capitando qui. Alcune decisioni compromettono il diritto alla difesa dei nostri assistiti”.