Oltre al danno anche la beffa. Non è bastato il dolore di veder morire sotto le macerie i propri cari, senza poter fare nulla, impotenti. Adesso lo Stato bussa alla porta chiedendo il conto di un crollo – quello del palazzo di via Campo di Fossa 6B – che ha ucciso 27 persone nella notte maledetta del 6 aprile 2009.
Già, proprio così: i superstiti del crollo sono ritenuti dall’Avvocatura dello Stato (che parla per conto dei ministeri delle Infrastrutture e dell’Interno) corresponsabili di quanto accaduto nella misura del 30%. Che si traduce nella richiesta di 4 milioni di euro di risarcimento, che suona davvero come una beffa, uno schiaffo a chi da sette anni fa i conti con una vita stravolta per aver perso tutto, perché chi doveva costruire bene non l’ha fatto e le loro case sono crollate.
In ogni modo l’istanza sarà discussa a novembre davanti ai giudici civili. Il palazzo di via Campo di Fossa è uno dei tanti simboli del terremoto dell’Aquila e il processo uno dei più complessi e controversi tra quelli scaturiti dal post-sisma. Nel crollo morirono anche universitari fuori sede. La magistratura, pur non potendo procedere in quanto i presunti responsabili del crollo erano morti da oltre 15 anni, aveva individuato gravi errori nella costruzione di quel palazzo, fatto negli anni Sessanta, a carico del progettista architettonico, del direttore dei lavori, dell’esecutore dei calcoli strutturali del palazzo, di un collaudatore e di un paio di funzionari del Genio civile che detterò l’ok a un progetto che sotto il profilo antisismico lasciava molto a desiderare.
Ora, a distanza di sette anni dalla catastrofe, si apre un nuovo fronte giudiziario che chiama in causa i proprietari degli appartamenti, con una domanda di regresso formulata dai ministeri e ritenuta quanto meno “pretestuosa e temeraria” dall’avvocato Luciano Dell’Orso che difende i proprietari dalla richiesta-choc.
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