Hanno stalle, capannoni e attrezzature danneggiati per decine di migliaia di euro, animali da gestire, colture da portare avanti ma non ce la fanno e ora chiedono aiuto allo Stato e alle istituzioni locali, da cui si sentono abbandonati, per non scomparire.
Sono i produttori e gli allevatori del cratere sismico che non hanno mai ricevuto aiuti dopo il sisma del 2009, alcuni hanno visto interrompere il ciclo delle produzioni, altri hanno fallito, altri ancora hanno deciso di lasciare l’Abruzzo. Al loro fianco si è schierata la senatrice del Partito democratico Stefania Pezzopane, che ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Agricoltura Stefano Martina per chiedere un intervento riparatore in grado di sanare i guasti del passato, causati nella fattispecie dall’amministrazione regionale.
Un problema che risale a quasi sette anni fa, quando gli interventi legislativi dell’allora governo e quelli della Regione determinarono “una situazione paradossale”, che ha creato una forte discriminazione nel settore agricolo.
“Nonostante, infatti, nell’ordinanza del 19 maggio 2009, fossero previste delle misure anche per le aziende agricole danneggiate dal sisma, la giunta Chiodi – spiega la Pezzopane – emanò due diversi bandi in contrasto con i dettami del Piano di sviluppo rurale abruzzese, i quali stabilirono l’obbligo per gli imprenditori agricoli di anticipare integralmente tutte le spese per la riparazione dei danni, ma senza prevedere l’indennizzo delle attività danneggiate, bensì un semplice contributo regionale”.
Intanto i produttori agricoli, stretti nella morsa della burocrazia e dell’inconcludenza della politica, restano soli ad affrontare una situazione economica drammatica. Oltre il danno provocato dal terremoto anche la beffa. Causata, quest’ultima, non dalla furia della natura ma dagli errori della burocrazia.
A versare in una situazione disperata è una decina di allevatori e imprenditori agricoli dell’Aquila che, a quasi sette anni dal terremoto, ancora non riescono a incassare i rimborsi per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate dal sisma.
“Un’ingiustizia, un’evidente disparità di trattamento rispetto ad altre attività produttive che invece hanno avuto il totale ristoro dei danni – denuncia l’allevatore Americo Pezzopane – io prima del sisma avevo un fatturato elevato, adesso sono in agonia”.
Stessa situazione quella di Cesidio Gualtieri, che aveva un fatturato di 100mila euro prima del 2009 “sceso, dopo, a 40mila e non per mia volontà, ma perché ho la stalla inagibile non ho i soldi per costruirne una nuova”.
Le imprese coinvolte, in realtà, sarebbero una sessantina, dislocate su tutto il cratere, ma ad allarmare di più sono una decina di casi, riguardanti alcune aziende di medie e grandi dimensioni localizzate per lo più nell’aquilano.
Cosa è successo? Dopo il terremoto, la Regione intervenne per risarcire i danni subiti dalle aziende agricole. Ma, anziché prevedere un meccanismo basato sugli indennizzi, come fu fatto per tutte le altre imprese (rimborsi immediati fino all’80% del danno subito), l’assessorato all’Agricoltura, allora guidato da Mauro Febbo, scelse un’altra strada, quella dei bandi di finanziamento per gli investimenti.
Quest’ultima, però, era una procedura completamente diversa, che implicava che le aziende dovessero anticipare i soldi di tasca propria, per incassare il contributo alla fine. Quel che è accaduto è che una parte consistente di queste aziende si è esposta con le banche per anticipare l’investimento ma poi, per una serie di difficoltà – di mercato, di accesso al credito e così via – si è ritrovata con centinaia, se non milioni, di euro di debiti. Un’altra parte, invece, nemmeno ha potuto iniziare l’investimento.
L’attuale giunta regionale ha riconosciuto l’errore e ha cercato di correre ai ripari adottando una serie di correttivi (per esempio l’abbassamento del coefficiente dell’anticipazione) per facilitare le aziende.
Alcune, quelle che si erano esposte per poche decine di migliaia di euro, sono state salvate; per una dozzina che, invece, avevano fatto investimenti più grandi, dell’ordine anche di milioni di euro, un rimedio ancora non è stato trovato.
La Regione ora sta valutando la fattibilità di alcune misure, come ad esempio un fondo di rotazione che dovrebbe garantire le aziende con le banche o la costituzione di un plafond ad hoc nell’ambito dell’operazione 4%, ma il problema non appare affatto di facile soluzione.
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