Morte Giovanni D’Alfonso, l’ex brigatista Azzolini: “A Cascina Spiotta io c’ero”

50 anni: il figlio del carabiniere abruzzese Giovanni D’Alfonso ha dovuto attendere mezzo secolo per aggiungere un tassello alla ricostruzione dei fatti di Cascina Spiotta

Una nuova verità, autoaffermata, illumina a giorno la dinamica di quella morte: la notizia arriva da Alessandria, dove è in corso il processo per i fatti avvenuti alla Cascina Spiotta nel 1975.

In corte di assise lo squarcio è stato prodotto dalla dichiarazione spontanea di Lauro Azzolini, 81 anni, ex brigatista rosso.

Azzolini è imputato ad Alessandria insieme a Renato Curcio e Mario Moretti, capi storici delle Brigate Rosse, i quali (non presenti in aula ad Alessandria) negano ogni coinvolgimento della vicenda.

Azzolini ha dichiarato che nella sparatoria “morirono due persone che non avrebbero dovuto morire”, il carabiniere Giovanni D’Alfonso (per il quale risponde di omicidio) e la brigatista Mara Cagol. Poi, rivolgendosi al figlio di D’Alfonso, Bruno, che si è costituito parte civile, ha detto “mi dispiace”.

“Quello – ha aggiunto – fu un giorno maledetto che non dimenticherò mai. È successo ciò che non doveva mai succedere. Il dolore è incancellabile”.

Ha anche invitato i giudici a richiamarsi al memoriale che all’epoca dei fatti scrisse in forma anonima a uso interno delle Br:

“Lo leggerete voi, io non ci riesco. Il dolore mi trafigge come una lama. L’ultima immagine che ho di Mara Cagol, e che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava di non sparare” si legge nel documento che l’ex brigatista rosso Lauro Azzolini ha consegnato alla Procura di Torino in occasione del processo ad Alessandria dove e imputato per i fatti della Cascina Spiotta.

Mara Cagol, moglie di Renato Curcio, fondatore della Brigate Rosse, è la militante che nello scontro a fuoco con i carabinieri perse la vita. Azzolini ha scritto che lui e la donna tentarono la fuga sulle rispettive auto, ma inutilmente: “Da qui la nostra resa”.

 “Uscito dalla mia vettura – aggiunge Azzolini – mi affiancai a Mara che era già sul prato. Notai che sanguinava da un braccio. Le chiesi se era ferita. Mi disse di sì ma che non era niente e che, se c’era ancora l’occasione, di tentare di fuggire. Risposi che avevo ancora una ‘srcm’ (una bomba a mano – ndr). Al suo cenno la lanciai e mi misi e correre verso il bosco convinto che Mara mi avrebbe seguito. Raggiunto il bosco mi accorsi che lei non c’era. Guardai verso il prato della cascina e l’ultima immagine di Mara, che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate”.

“Ho sentito dire che saremmo stati istruiti e addestrati a cosa fare in quei casi, ma non è vero. Non sapevamo assolutamente cosa fare perché non era mai successo” si legge ancora nel documento.

Negli ambienti del collegio difensivo si sottolinea però che il contenuto del documento scagiona Curcio e Moretti.

“Bruno d’Alfonso è sconcertato. Cinquant’anni anni di silenzio lasciano un segno fortissimo”. Così l’avvocato di parte civile Sergio Favretto ha commentato la dichiarazione spontanea dell’ex brigatista rosso Lauro Azzolini.

Bruno d’Alfonso, il figlio del carabiniere che perse la vita nella sparatoria con i brigatisti, non ha voluto rilasciare dichiarazioni.

“Questa – ha detto l’avvocato Favretto riferendosi alle parole di Azzolini – è una novità assoluta, ma arriva dopo 50 anni e tre anni di lavoro della procura di Torino che ha inchiodato gli imputati. Quindi l’ammissione di oggi avviene perché ci sono prove inconfutabili, che giungono dalle impronte digitali e dall’intercettazioni”.

“Abbiamo colto la sofferenza nelle dichiarazioni di Azzolini – ha osservato in aula un altro degli avvocati di parte civile, Guido Salvini – ma sono ancora necessari degli approfondimenti. Il documento contiene parecchi dettagli sulla morte di Mara Cagol, ma su ciò che è successo prima, e su chi ha sparato al carabiniere D’Alfonso, sorvola un po’. Ecco perché il processo deve continuare”.

Marina Moretti: