Ombrina Mare: “Resta una battaglia giusta”

Tante le reazioni dopo l’esito dell’arbitrato internazionale su Ombrina Mare vinto dalla Rockhopper che dovrà avere dallo Stato Italiano 190 milioni. Per il WWF quella battaglia “resta giusta, contro un uso anacronistico del fossile”.

Ieri è stata la società petrolifera Rockhopper a far sapere di aver vinto l’arbitrato con lo Stato italiano per la vicenda Ombrina, il progetto petrolifero offshore davanti alle coste abruzzesi: l’indennizzo previsto è di 190 milioni di euro e Filomena Ricci del WWF si sente amareggiata per una vicenda che ha coinvolto tutto il territorio contro la realizzazione della piattaforma Ombrina a largo della Costa dei Trabocchi. Mesi e mesi di manifestazioni, cortei: non solo le associazioni ambientaliste ma anche i singoli cittadini erano scesi in strade e piazze per dire no. “Ora la speranza è che lo Stato Italiano faccia ricorso. Il fossile è anacronistico e questi impianti sono obsoleti”, prosegue il WWF.

Questa la dichiarazione di Filomena Ricci Delegato WWF Abruzzo sul caso Ombrina: “La decisione dell’International Centre for Settlement of Investment Disputes che ha condannato l’Italia al pagamento di un indennizzo di 190 milioni di euro a favore della società petrolifera Rockhopper Exploration con sede nelle North Falkland per aver scelto di difendere la propria costa e il mare davanti all’Abruzzo bocciando il progetto di realizzare la piattaforma petrolifera off-shore Ombrina, dimostra tutta l’assurdità dell’adesione al Trattato sulla Carta dell’Energia del 1994. Di fatto l’Italia aderendo a questo Trattato ha rinunciato a decidere sul proprio territorio. Neppure una legge dello Stato e l’opposizione di un’intera regione riescono a tutelare gli interessi dei cittadini contro le potenti multinazionali dell’energia fossile. L’opposizione contro Ombrina Mare fu portata avanti dalle associazioni ambientaliste, dagli enti locali, dalla Regione e organizzazioni di categoria, oltre a migliaia e migliaia di cittadini che parteciparono a tantissime manifestazioni scegliendo di far valere le proprie ragioni legate allo sviluppo sostenibile. È semplicemente vergognoso che la tutela del territorio finisca per comportare un costo così alto per la collettività”.

La Rockhopper Exploration ha sede nelle North Falkland e nella nota fa sapere che “lo Stato italiano ha 120 giorni per opporsi eventualmente al provvedimento di condanna”. La Rockhopper sosteneva che il mancato rilascio della concessione petrolifera Ombrina mare avesse violato il Trattato sulla Carta dell’Energia. Il Ministero dello Sviluppo nel 2016 decise di fermare le autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi offshore, in mare, entro le 12 miglia dalla costa, cioè poco più di 22 km.
L’arbitrato su Ombrina era iniziato nel 2017, e a disporre la sentenza è stato ‘International Centre for Settlement of Investment Disputes, in base al Trattato sulla Carta dell’Energia, è l’organismo deputato a gestire controversie internazionali di questo tipo.
Rockhopper ha fatto ricorso ad un arbitrato internazionale. È un meccanismo noto anche come ISDS, ovvero Investor-state dispute settlement, cioè un meccanismo di risoluzione delle controversie che permette ad un privato (l’investitore) di richiedere i danni ad uno Stato. Nello specifico, si tratta di uno strumento previsto da un accordo internazionale di investimento come la Carta dell’Energia, entrato in vigore in UE nel 1998.
“L’Italia è stata condannata a pagare 190 milioni di euro a Rockhopper nell’arbitrato internazionale fondato sul truffaldino Trattato della Carta dell’Energia firmato nel 1994 e ratificato dal nostro paese nel 1997 in merito allo stop al progetto petrolifero Ombrina, fermato dal Parlamento italiano dopo una mobilitazione popolare alcuni anni or sono. Ricordiamo che la norma approvata dai parlamentari secondo i principi fondamentali della democrazia riguardava numerose aziende e posizioni. Non era neanche, insomma, una legge contro una singola impresa o uno specifico progetto ma era un provvedimento volto a tutelare i nostri mari”. Così a caldo il commento della Segreteria H2O Abruzzo.
“Non ci sono possibilità concrete di appello e il versamento dovrà essere effettuato entro 120 giorni da oggi. E’ stata una decisione unanime del triumvirato composto da Klaus Reichert, Charles Poncet e Pierre-Marie Dupuy, che ha stabilito che l’Italia ha violato l’Energy Charter Treaty. La Rockhopper stima che il 20% dei fondi servirà per coprire spese di varia natura, e che il netto per la loro compagnia sarà dell’80% del versato”. Lo afferma Maria Rita D’Orsogna, fisica e docente universitaria negli Usa e storica ambientalista legata all’Abruzzo, in prima linea nelle battaglie su idrocarburi e costa adriatica.
“E’ una decisione che lascia noi italiani, e me, con un po’ di amarezza. Questo arbitrato, composto da tre uomini non italiani e vicini al mondo dell’industria e del petrolio, non si è mai preoccupato di coinvolgere i residenti, di capire il perché delle nostre battaglie, di vedere quanto più bella e più sana sia la Costa dei Trabocchi oggi, con il fiorire di mille attività turistiche, rispetto a ciò che la Rockhopper voleva farne. L’Italia pagherà 190 milioni di euro, ma non abbiamo perso. La lezione di democrazia che abbiamo dato in dieci anni
di battaglie, è qualcosa di straordinario che ne Sam Moody ne il triumvirato senza volto potranno mai capire. Davide ha fermato Golia e di questo dobbiamo essere orgogliosi. Abbiamo salvato l’Abruzzo dalle trivelle”- conclude la D’Orsogna.
“L’Italia è stata condannata al pagamento di 190 milioni di euro per il rigetto dell’istanza di concessione di coltivazione “Ombrina mare”. Il ricorso all’arbitrato internazionale era stato promosso dalla multinazionale Rockhopper nel 2017, a seguito della decisione assunta dal ministro dello sviluppo economico Federica Guidi di non rilasciare più il titolo e di chiudere definitivamente la vicenda. Un sistema e un esito assai discutibili (e per questo bene ha fatto l’Italia a recedere dal Trattato sulla Carta dell’energia)”. Lo dice Enzo Di Salvatore, costituzionalista presso l’Università di Teramo e tra i promotori del referendum sulle trivelle.
“Il punto è che Rockhopper avrebbe potuto benissimo adire il TAR Lazio, ma ha preferito seguire, invece, la strada dell’arbitrato. Se, infatti, avesse promosso un ricorso al TAR Lazio sarebbe stata probabilmente soccombente, giacché il nostro ordinamento giuridico tutela il legittimo affidamento di colui che investe sulla base di una concessione già rilasciata (e poi revocata); in questo caso, invece, il Trattato accorda tutela agli investimenti a prescindere dalla esistenza di una concessione; e ciò è discutibile perché investimenti effettuati senza il rilascio di un titolo dovrebbero ricadere nell’alea che sempre accompagna l’iniziativa economica del privato”.
https://www.youtube.com/watch?v=-zc0OQvzifw
Barbara Orsini: