Arrivano altre risposte dall’autopsia eseguita ieri fino a notte sul corpo dell’orsa Amarena, uccisa con una fucilata nel cortile di un’abitazione privata di San Benedetto dei Marsi
Ad Amarena qualcuno aveva già sparato, forse anche più di una volta, ma l’orsa era stata raggiunta da pallini piccoli, da caccia, ben diversi dal proiettile calibro 12 che poi l’ha uccisa. Il particolare è emerso ieri durante l’autopsia eseguita all’Istituto Zooprofilattico di Teramo. Il proiettile fatale era stato individuato durante le lastre, fatte nella Clinica Veterinaria dell’università di Teramo, per essere poi rimosso durante la ricognizione cadaverica, terminata poco prima di mezzanotte.
I colpi di ‘avvertimento’, sparati per spingere l’animale ad allontanarsi, sono piuttosto comuni nelle terre dei parchi: già l’orso Stefano, ucciso in Molise nel 2013, presentava ferite simili, ossia pallini di “dissuasione” e fucilata successiva mortale.
La scoperta autoptica potrebbe cambiare la narrazione dell’evento che si comporrà ancora più nitidamente quando alle risultanze dell’esame necroscopico si aggiungeranno gli elementi raccolti dal perito balistico Paride Minervini, la cui relazione sarà decisiva. Dagli ambienti giudiziari infatti trapela che la ricostruzione
della dinamica dello sparo è cruciale per definire le responsabilità dell’unico indagato, Andrea Leombruni: fondamentale sarà conoscere la tempistica e le modalità di scelta dell’arma e del proiettile, come anche la distanza, la traiettoria, la chiusura del cancello di casa allo scopo di bloccare l’orsa all’interno.
Amarena ha subito una morte lenta, il colpo entrato nel polmone dal fianco, vicino alla spalla, ha compresso irrimediabilmente tutti gli organi determinando l’emorragia interna fatale. La povera orsa ha tentato più volte di alzarsi per mettere in sicurezza i due cuccioli, ma non ce l’ha fatta.