Ortona: arrivati e assistiti i 160 migranti alla deriva da tre giorni. Storie di violenza e disperazione

Ha attraccato poco dopo mezzogiorno, alla banchina nord del porto di Ortona, la Life Support di Emergency. A bordo 161 migranti disidratati e debilitati: sui loro volti e nei loro racconti storie di violenze e disperazione. La metà di tutto il gruppo resterà in Abruzzo: 40 andranno in strutture marchigiane e 20 nel Molise

Tra le storie quella di un ragazzo di 22 anni che da 7 anni vaga nella speranza di un luogo dove fermarsi. Tra gli oltre 100 migranti a bordo della Life Support di Emergency c’è tanta voglia di raccontare la propria drammatica storia. Ognuno di loro ha una vicenda privata dolorosa. A raccogliere le loro voci c’era Yohannes Ghebray, mediatore culturale di Emergency, a bordo anche lui sulla Life Support, che ha voluto raccontare una delle tante storie emblematiche.

“E’ stata una missione molto complessa con tre operazioni nel giro di 10 ore – racconta Yohannes  – abbiamo raccolto storie davvero drammatiche, quella che mi ha colpito in modo particolare la storia di un ragazzo somalo che ha perso entrambi i genitori a seguito di un attacco del gruppo terroristico Al Shabaab quando aveva appena 15 anni. Da allora ha cominciato a vagare, adesso ne ha 22, quindi sono 7 anni che sta viaggiando in cerca di una vita migliore, cinque dei quali passati in un campo di detenzione in Libia dove ha subito violenze di ogni genere. Per un ragazzo normale dai 15 ai 22 anni si studia, si va all’Università, si cerca un lavoro, questo ragazzo, invece, ha passato i migliori anni della sua vita in un inferno”.

I naufraghi soccorsi da Emergency che sono sbarcati oggi ad Ortona (Chieti) erano partiti da Zwara, in Libia, nel primo caso, e da Sfax, in Tunisia, nel secondo e nel terzo. I naufraghi che hanno vissuto o transitato in Libia riportano di episodi di violenza. “Io e la mia nipotina di 4 anni, che accudivo all’epoca – riferisce una donna – siamo rimaste in prigione in Libia per un anno. Mi hanno picchiata in qualsiasi parte del corpo. Ho ancora le cicatrici. Ogni sera sceglievano una donna da violentare. Per fortuna a me non è mai toccato. Mentre ci picchiavano, fumavano come se fosse un
gioco”. Le persone provenienti dalla Tunisia hanno passato più di tre giorni in mare navigando alla deriva. “Ho 45 anni e soffro di ipertensione – spiega una donna delle Costa d’Avorio, tra i superstiti -. Ho passato tre giorni in mare, senza bere, né mangiare, senza avere la possibilità di usare un bagno, sotto il sole cocente e nel freddo notturno. Quando ci avete soccorsi, avevo ovunque sul corpo la benzina che si era rovesciata dalle taniche. Non riuscivo a camminare, a reggermi in piedi. Mi hanno dovuta portare di peso”.

“Appena ho visto peggiorare la situazione in Tunisia ho deciso di far partire subito mia moglie con la nostra bimba. Non vedo l’ora di ristringerle tra le mie braccia – racconta un uomo
della Costa d’Avorio -. Io sono rimasto in mare tre giorni. Abbiamo incontrato tanti pescherecci, ma i pescatori ci dicevano che non potevano farci imbarcare sulle loro navi perché
rischiavano denunce penali. Avrebbero chiamato i soccorsi. Quando abbiamo visto la vostra nave abbiamo capito che non ci avreste lasciato morire”.

Attiva in operazioni di ricerca e soccorso dal dicembre 2022, la Life Support termina oggi la sua quarta missione. In questi quattro mesi, ha salvato la vita di 564 persone.

Sulla banchina, già dalle prime ore del mattino, il personale della Guardia Costiera, Vigili del Fuoco, Polizia, e anche della Prefettura di Chieti con il coordinamento del viceprefetto, Gianluca Braga. E poi ancora i volontari di Emergency, in particolare il responsabile sanitario per i soccorsi in mare Roberto Maccaroni: “La situazione a bordo dei naufraghi non ha destato particolari problemi. Non abbiamo avuto emergenze all’atto del recupero, come succede in molti casi, per il fatto che sono stati mai più di ventiquattr’ore in mare. Erano disidratati, debilitati e si reggevano a mala pena in piedi”.

All’incirca la metà di tutto il gruppo resterà in regione Abruzzo tra adulti e parte dei minori. Per il resto destineremo un gruppo di 40 nella regione Marche, così come disposto dal ministero dell’Interno e altri 20 in Molise”. A spiegarlo è il viceprefetto di Chieti, Gianluca Braga, che ha coordinato le operazioni di accoglienza dei 161 migranti arrivati ad Ortona (Chieti) sull’imbarcazione Life Support di Emergency. “Sono iniziate le operazioni di sbarco dei primi migranti secondo i criteri di priorità adottati dall’Usmaf – ha spiegato Braga – che ha fatto una prima valutazione a bordo di tipo sanitario, quindi naturalmente diamo la precedenza alle donne in stato di gravidanza, minori, bimbi piccoli con mamme. La Asl valuterà naturalmente l’esigenza di eventuali ricoveri precauzionali o addirittura casi di ‘codice rosso’. Laddove ciò non sia i migranti verranno destinati immediatamente presso il Palasport di Villa Caldari per le operazioni di fotosegnalamento e di identificazione inerenti le attività di polizia di frontiera, per poi essere smistati verso i vari centri”.

Una volta a terra per i migranti esami e controlli sanitari, da parte della Asl, nell’area del porto allestita dalla Croce rossa italiana e dalla Protezione civile: lì ad assisterli psicologi, assistenti sociali e mediatori culturali. Quindi il trasferimento nell’area prospiciente, anch’essa riscaldata, dedicata alle primissime procedure di identificazione.

“Rispetto a quanto sarebbe servito per raggiungere porti più vicini, arrivare ad Ortona ha implicato 2 giorni ulteriori di navigazione rispetto ad un porto siciliano. Questo vuol dire che la Life Support sarebbe potuta essere già in viaggio verso acque internazionali per salvare altre vite umane – lo afferma Emanuele Nannini, capo della missione Life Support di Emergency che è sbarcata oggi a Ortona. “Per raggiungere il porto abbiamo affrontato condizioni meteo marittime avverse e particolarmente impegnative: nella scorsa notte le onde erano di quattro metri e le condizioni sono state difficili sia per l’equipaggio che per i naufraghi a bordo che hanno sofferto molto, mentre la legge internazionale prevede che sarebbero dovuti essere portati in un luogo sicuro il prima possibile”.

 

Barbara Orsini: