La professoressa Elena Ledda, presidente del Centro Nazionale di Studi Dannunziani, in una nota interviene in occasione del 159esimo anniversario della nascita di Gabriele d’Annunzio.
Il 12 marzo 1863 nasceva a Pescara Gabriele d’Annunzio, lo scrittore “imaginifico”, il poeta- soldato, il Comandante. Ci ha lasciato in eredità le sublimi liriche alcionie, le pagine forti del Fuoco, quelle sensuali del Piacere, ma anche quelle drammatiche e intimistiche del Notturno. Una sorta di “commentario delle tenebre”, quest’ultimo, abbozzato durante il primo conflitto mondiale e pubblicato, presso l’editore Treves, nel novembre del 1921, poco più di 100 anni fa.
E’ il libro in cui d’Annunzio, l’”Ariel armato”, il raffinato letterato arruolatosi volontario, convinto nazionalista, determinato interventista e instancabile sostenitore della libertà dei popoli, si avvale della propria arte scrittoria per “trasmettere”, con l’intensità e l’incisività che la contraddistingue, immagini, sensazioni e sentimenti che egli vive nell’ebrezza e nell’orrore della guerra.
Come fotogrammi di un vecchio film fa scorrere, attraverso un linguaggio senza tempo e senza spazio e uno stile paratattico e spezzato volutamente elevato, episodi di forte impatto emotivo, intrisi di violenza, di tragicità, di sofferenza. E fa scorrere volti di madri affrante, di ufficiali straziati dalle bombe, di giovani imberbi votati al sacrificio per un ideale che a malapena conoscono.
Le immagini, create dalle parole, diventano ancora più vivide quando il poeta giunge a sperimentare su se stesso anche i momenti più forti del dolore altrui, come nel caso del giovane militare ferito, di origine abruzzese, Giovanni Federico. Scrive di lui nell’Annotazione: “La sua povera carne è la mia povera carne. Non è coperto se non dei brandelli della sua camicia rozza; e le pudende palesate aumentano il ribrezzo e la miseria e l’innocenza e la compassione e il sentimento sacro della genitura che si spezza. Mia madre per la mia bocca gli parla come gli parlava sua madre. E il più lieve dei suoi sorrisi infantili appare all’estremità del suo strazio».
E’ trascorso un secolo dalla stesura di questo passo diaristico che va ben oltre il suo valore letterario, ma niente è di più tragicamente attuale. Il dolore fisico, l’immagine incombente della morte, lo strazio di chi assiste ad assurde brutalità e a distruzioni in una nazione in guerra, l’Ucraina, ci sono raccontati ogni giorno.
La pietas provata e cantata da d’Annunzio ha ancora, comunque, il sopravvento, in Europa e nel mondo. E’ quel sentimento che ci spinge a credere che, come Giovanni Federico, almeno alcuni fra i tanti giovani Vladimir, Vadim, Dimitri, Iuri, soldati uccisi ieri nei dintorni di Kiev, non siano morti soli, ma con un lieve sorriso sulle labbra. Conclude la professoressa Elena Ledda.