I quattro componenti del gruppo trap ‘P38 – La Gang’ le cui canzoni inneggiano alle Brigate Rosse, sono stati denunciati per apologia di reato dalla Digos di Pescara in riferimento alla loro esibizione al circolo Arci Scumm nel capoluogo adriatico la sera dello scorso 25 aprile
Accertamenti della Digos a Reggio Emilia, esposti in Procura a Pescara per apologia di reato e all’orizzonte una denuncia dalla primogenita di Aldo Moro. Cresce la bufera, non solo politica ma anche giudiziaria, sui componenti finora anonimi del gruppo musicale P38, band che rievoca le Brigate Rosse con riferimenti non poco espliciti nei brani e negli allestimenti sul palco, dopo le esibizioni delle scorse settimane. Ultima quella del primo maggio in un circolo Arci di Reggio Emilia, ma nei giorni precedenti anche a Bologna e il 25 aprile a Pescara.
“Intendo agire per vie legali. Qui non si tratta di libertà di pensiero, ma è istigazione al terrorismo. Mio padre, Aldo Moro, era il contrario di tutto ciò che c’è in quei testi, altrimenti sarebbe stato comprato come altri. Invece è stato ucciso”. A parlare così è Maria Fida Moro, figlia primogenita dello statista democristiano ucciso dalle Br. In un’intervista alla Gazzetta di Reggio, l’ex senatrice annuncia l’intenzione di affidarsi al suo legale per valutare gli estremi di una denuncia nei confronti dei P38.
“Solo chi è passato per un dolore del genere può davvero capire cosa si prova e può capire che anche una canzone può avere esiti volgari e pericolosi – aggiunge Maria Fida Moro – Mio padre era una persona ad esempio che non era assolutamente attaccata al denaro, che non ha mai accettato regali e usava l’indennità parlamentare per far studiare i bambini poveri del sud. Di tutto questo ci si dimentica, spesso si dimenticano anche le persone aiutate, ora diventate adulte. Se fosse stato attaccato al denaro non sarebbe mai morto ammazzato. Invece era attaccato a solidi principi giuridici del fare il bene e non il male, sapendo che, ahimè, proprio facendo il bene sarebbe stato ammazzato. Purtroppo lo ha sempre saputo”. La band sotto i riflettori è nata nel 2020 e si esibisce in anonimato, coi componenti che indossano un passamontagna bianco e si autodefiniscono “trapper brigatisti”.
Tra marzo e aprile ha suonato in diverse città italiane – Roma, Firenze, Bergamo, Padova, Bologna e Pescara. A sollevare le polemiche l’ultimo concerto, quello del primo maggio a Reggio Emilia, in un circolo Arci. Nella terra dove oltre mezzo secolo fa nacquero le Br con Renato Curcio, Margherita ‘Mara’ Cagol e Alberto Franceschini. L’episodio ha provocato anche lo sdegno di Lorenzo Biagi, figlio del giuslavorista Marco ucciso dalle Nuove Br a Bologna nel 2002. “Le cose più schifose a mio parere sono due – ha scritto sui social – La prima è che il titolare di questo locale che li ha invitati li ha pure difesi in seguito alla loro esibizione”, la “seconda cosa schifosa è che non è la prima volta che questo ‘gruppo’ viene invitato nei locali ad esibirsi”.
Tra i titoli delle canzoni spiccano ‘Renault’, con la barra ‘Zitto Zitto pagami il riscatto, zitto zitto sei su una R4…’, rimandando all’immagine dell’auto rossa nella quale venne trovato Moro. Tra l’altro parte della polemica ha investito
anche la città di Bologna, dove la band ha girato un video e dove si è esibita il 22 aprile alla Ex Centrale, uno spazio del
Comune dato in gestione a un centro sociale. Comune che ha fatto sapere di reputare “tale episodio riprovevole e censurabile”. Fratelli d’Italia chiede la revoca degli spazi. A Pescara i componenti della band sono stati denunciati dalla
Digos per apologia di reato, in seguito all’esibizione del 25 aprile, sempre in un circolo Arci. Sulla vicenda erano arrivati due esposti in procura, uno a firma di Bruno D’Alfonso, uno dei tre figli di Giovanni, carabiniere abruzzese di 44 anni ucciso dalle Br nel ’74 in provincia di Alessandria nello scontro a fuoco per la liberazione dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia.