A sei anni dal 18 gennaio 2017, quando una valanga travolse e distrusse l’Hotel Rigopiano di Farindola, provocando la morte di 29 persone, la vita degli undici superstiti scampati al disastro e di tutti coloro che in quella tragedia hanno perso un parente va avanti. Dopo 15 rinvii, 1.318 giorni dalla prima udienza, giunge a conclusione il processo di primo grado sulla tragedia di Rigopiano, oggi pomeriggio è prevista la sentenza
Dopo oltre sei anni dalla tragedia, 1.318 giorni dalla prima udienza del 16 luglio 2019, ben 15 rinvii e le aule separate in piena emergenza Covid, oggi arriva la sentenza di primo grado al processo per la valanga sull’Hotel Rigopiano. Il pomeriggio del 18 gennaio del 2017 migliaia di metri cubi di neve spazzarono via tutto, la struttura, ma soprattutto 29 vite umane. Subito dopo aver fatto l’appello e preso atto della rinuncia ad alcune contro repliche, il giudice Gianluca Sarandrea si è ritirato in Camera di Consiglio per stabilire la sentenza che sarà annunciata tra le 16.30 e le 17. La risposta della giustizia si saprà nel pomeriggio quando il Giudice avrà chiuso la camera di consiglio e sarà in grado di annunciare il dispositivo di sentenza per 26 dei 30 imputati ammessi al Rito Abbreviato, per 4 di questi la stessa Procura ha chiesto l’assoluzione. Alla sbarra esponenti politici, funzionari, dirigenti prefettizi e i gestori dell’Hotel, per ipotesi di reato che vanno dal disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni plurime colpose, falso ed anche depistaggio ed abuso edilizio. Il Procuratore Giuseppe Bellelli nella sua requisitoria ha auspicato “una sentenza che in nome della Costituzione e del Popolo Italiano affermi il modello di Amministratore Pubblico che aveva il dovere di prevedere il peggio ed evitare la tragedia.” Quasi tutti gli avvocati difensori, invece, puntano sull’assoluta imprevedibilità dell’evento. A Sarandrea il compito di fare sintesi tra i circa 150 anni di condanna richiesti per i 26 imputati, dai 12 anni all’ex Prefetto Provolo, agli undici anni e 4 mesi per il sindaco di Farindola Lacchetta ed il suo tecnico comunale Colangeli, ai 10 anni per i dirigenti della Provincia di Pescara D’Incecco e Di Blasio, e le altre pene a seguire. Saranno sicuramente in aula i parenti delle 29 vittime che si sono costituiti in un Comitato che si è sempre distinto per dignità e soprattutto pazienza, ma che oggi chiede giustizia.
Un grande striscione all’ingresso del Tribunale di Pescara nel ricordo delle 29 vittime dell’Hotel Rigopiano è comparso nel giorno della sentenza di primo grado che dovrebbe giungere non prima delle 17. Tutti presenti i parenti delle vittime ed anche diversi superstiti tra cui Giampiero Matrone ed il cuoco Giampiero Parete il primo che diede l’allarme quel pomeriggio del 18 gennaio 2017. L’udienza è iniziata con l’appello del giudice.
Dopo oltre si anni, c’è chi ha un nuovo lavoro, chi si è trasferito, chi ha aperto un’attività e quelli che all’epoca dei fatti erano bambini oggi sono cresciuti. Dimenticare, però, è impossibile, soprattutto alla vigilia della sentenza, prevista per oggi pomeriggio. “Da allora non andiamo più in montagna e sulla neve, è rimasto un segno”, dice Giampiero Parete, il cuoco che quel giorno lanciò i primi sos senza essere creduto. La sua è l’unica storia a lieto fine di quella tragedia: dopo di lui, infatti, furono salvati anche la moglie e i due figli. Oggi Giampiero ha un ristorante a Silvi; Gianfilippo, 13 anni, e Ludovica do 12 frequentano le scuole medie, mentre la mamma Adriana continua a fare l’infermiera. Continua a lavorare nella pasticceria di famiglia a Monterotondo, Giampaolo Matrone, ultimo sopravvissuto della tragedia: fu estratto vivo dalle macerie dopo oltre 60 ore e, sottoposto a numerosi interventi chirurgici, ha riportato gravi traumi agli arti. La valanga si portò via sua moglie, Valentina Cicioni, con cui il pasticcere si era concesso una breve vacanza in montagna. Matrone ora dedica ogni momento libero alla figlia Gaia. La bimba, che il giorno della tragedia era a casa con i nonni, oggi ha undici anni. Vive e lavora ancora a Penne, Fabio Salzetta, che era tecnico manutentore dell’Hotel Rigopiano. Fu il primo ad essere individuato dai soccorritori e, nonostante lo shock e il freddo, rimase lì, per cinque interminabili giorni, per aiutare nelle ricerche, perché conosceva alla perfezione quel posto e, soprattutto, perché sotto le macerie c’era sua sorella, poi trovata morta nel giorno del suo 31esimo compleanno. Si è trasferito a Torino, dove vive e studia in un istituto, Edoardo Di Carlo, oggi 14enne, uno dei bambini estratti vivi dalle macerie. In quella tragedia, quando aveva appena sei anni,
perse i genitori, Nadia Acconciamessa e Edoardo Di Carlo. Da Loreto Aprutino, si sono trasferiti al Nord, per studio e per lavoro, anche i due fratelli maggiori, che in quel drammatico 18 gennaio erano a casa. Prova a fatica a dimenticare Francesca Bronzi, oggi 31enne. La giovane, che vive a Montesilvano e lavora come impiegata, ricorda ancora quelle ore interminabili sotto le macerie. Fu una delle ultime persone ad essere salvata. La stessa sorte, però, non toccò al suo fidanzato, Stefano Feniello, 28 anni. Per giorni, prima in ospedale e poi a casa, Francesca lo attese, invano. Il nome di Stefano, infatti, fu inserito in una lista di cinque persone estratte vive, ma si trattò di un errore. Bronzi, assistita dall’avvocato Alessandro Dioguardi, ha scelto di non essere in aula domani per la sentenza. Va avanti, sempre con il pensiero rivolto a sei anni fa, anche la vita degli altri superstiti di Rigopiano, Samuel Di Michelangelo, 15enne che nella tragedia perse i genitori, Vincenzo Forti e Giorgia Galassi.