L’autore del film “Il guerriero mi pare strano”, Alessio Consorte, solleva altri sul Guerriero di Capestrano, simbolo dell’Abruzzo: la parola Raki indicherebbe una grappa e non un re
È evidente che a Consorte il Guerriero deve continuare a parere strano, visto continua a sollevare dubbi la sua autenticità. Ora mette in gioco persino una grappa, individuata in una parola dell’epigrafe che ha alimentato il mito del Re Italico Nevio Pompuledio.
Secondo Consorte dunque decade il mito del re italico Nevio Pompuledio, che scivola da Re a Grappa.
La parola Raki secondo l’esperto Adriano La Regina sarebbe la chiave per conferire alla statua un valore regio, identificando il guerriero come un Re. Ma Consorte contesta questa interpretazione:
“La traduzione ufficiale, che ha ottenuto ampio consenso tra gli studiosi locali, recita: ‘Me bella immagine fece Aninis per il re Nevio Pompuledio’ (la frase originale suona: ma kuprí koram opsut aninis raki nevii pomp[…]ii), in cui la parola ‘RAKI’ viene interpretata come ‘RE’, legittimando così l’idea che il guerriero fosse un monarca.
Tuttavia, questa traduzione è stata messa in discussione da alcuni esperti, tra cui il linguista Heiner Eichner, fu professore di linguistica generale e indoeuropea presso l’Università di Vienna, che sollevò dubbi sulla plausibilità della trasformazione della vocale ‘e’ in ‘a’ lunga nell’antica lingua osca, ritenendola ‘del tutto inaspettata’. In definitiva, secondo alcuni, ‘al Re’ nella lingua osca del VI secolo a.C., si sarebbe dovuto scrivere ‘REKEI‘ e non ‘RAKI”‘.
Durante le riprese del suo film, Consorte ha messo in evidenza alcune incongruenze nell’epigrafe, tra cui lettere capovolte, specchiate e multi-direzionali. Secondo Consorte queste peculiarità potrebbero essere indizi di una manipolazione linguistica, un “adattamento” della scrittura da parte di falsari, che avrebbero creato una lingua “losca”, volutamente alterata per stabilire un collegamento fittizio con l’antica lingua osca.
Ora Consorte sostiene che ‘RAKI’ indichi semplicemente una bevanda alcolica tradizionale, simile alla grappa, conosciuta nel Mediterraneo già nell’antichità:
“È chiaro che il falsario abbia giocato con mere mistificazioni, traendo spunto dalla parola greca PAKI (RAKI), semplicemente cambiandone la direzione di scrittura. Nel VI secolo a.C. l’attuale territorio abruzzese era già ben integrato nel contesto culturale della Magna Grecia.
Le città italiche come Isernia e Benevento erano piuttosto vicine a Cuma e Napoli, città greche, e i contatti culturali tra queste popolazioni avrebbero reso impossibile utilizzare in modo inappropriato un termine che proviene dalla Grecia antica. Di fatti la parola ῥάξ o ῥῶξ (raks, roks) nel greco antico si riferisce a un ‘acino d’uva’ o, più in generale, a un grappolo d’uva.
Da questa parola deriva raki, nome della bevanda alcolica simile alla grappa, diffusa in Turchia, nei Balcani e in Grecia. Allo stato attuale l’epigrafe non ha nessun significato: RAKI è solo una parola presa in prestito dal falsario per ingannare”, conclude il regista.