Non è che il peperoncino sia proprio dentro il nostro cervello, tuttavia la ricerca di cui è coautore un docente dell’Università di Teramo attesta che siamo dotati del recettore della capsaicina.
Detto in termini più scientifici, sembra che nel nostro cervello sia presente il canale ionico Trpv1, che poi è il recettore degli endovanilloidi e della capsaicina, il principio piccante del peperoncino. Lo studio chiarisce come in alcune aree cerebrali e in alcuni sottotipi cellulari specializzati nella risposta immunitaria il recettore in questione svolga un ruolo importante nel controllo della risposta neuroinfiammatoria e del dolore cronico neuropatico. La tesi apre la strada a possibili nuovi approcci terapeutici per le malattie associate a una componente infiammatoria del cervello, come per esempio la sindrome di Alzheimer e la sclerosi multipla. Il coautore della ricerca, pubblicata su Nature Communication, è Sergio Oddi, docente di Biochimica alla facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Teramo. La ricerca rappresenta il frutto della stretta collaborazione tra Oddi, e la fondazione Santa Lucia e l’European Brain Research Institute-Fondazione Rita Levi Montalcini di Roma. La speranza è che, in futuro, questo insospettabile lato piccante del nostro cervello possa aiutarci a tenere alla larga le patologie indicate.
Del resto che il peperoncino fosse una specie di elisir di lunga vita era già noto, i suoi effetti sono già stati considerati in altre ricerche riguardanti tumori e ictus. Merito sempre della capsaicina, un ingrediente bioattivo di cui è particolarmente ricco il peperoncino fresco, e della vitamina C e altri nutrienti con capacità antiossidanti o antinfiammatorie che la ricerca moderna associa a una riduzione di mortalità complessiva.