Dopo la convocazione in mattinata per eventuali repliche, è prevista nel pomeriggio la sentenza a L’Aquila del processo in Corte d’Appello per la tragedia all’Hotel Rigopiano.
Ribaltone o sostanziale conferma di quanto già stabilito dal Gup Gianluca Sarandrea nel processo di primo grado? E’ la domanda che accompagna molti, in questa vigilia di resa dei conti in Corte d’Appello, a L’Aquila, dove domani, nel pomeriggio, il collegio presieduto dal Giudice Aldo Manfredi, dovrà decidere in merito al processo di secondo grado per la tragedia di Rigopiano del 18 gennaio del 2017. Il 23 febbraio di un anno fa, alla lettura del dispositivo nell’aula “Medoro Pilotti Aielli”, al Tribunale di Pescara, rabbia e forti tensioni da parte dei parenti delle 29 vittime, per l’assoluzione di 25 dei 30 imputati, con condanne lievi solo per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, 2 anni e 8 mesi, due dirigenti della Provincia di Pescara, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, 3 anni e 4 mesi e 6 mesi per l’ex gestore dell’Hotel Bruno Di Tommaso e per il geometra Giuseppe Gatto, pene decisamente inferiori, rispetto a quanto chiesto dalla Pubblica Accusa, al termine di un’indagine scrupolosa e capillare. Una risposta, alla sacrosanta domanda di giustizia, ritenuta evidentemente troppo debole, rispetto ad un complesso scenario di errori, omissioni, manifeste incapacità di gestione dell’emergenza su vari fronti, dalle Amministrazioni, fino alle Istituzioni più alte, come quella della Prefettura. Nella sua ormai divenuta storica requisitoria, il Procuratore Capo della Repubblica di Pescara Giuseppe Bellelli, parlò di assenza totale di visione dell’Amministratore Responsabile, l’agente modello, quello che, per il bene e la sicurezza dei cittadini che ha il dovere di tutelare, deve essere in grado anche di prevedere l’imponderabile e non basta dire Chi mai poteva aspettarsi che una valanga di simili proporzioni potesse abbattersi con quella violenza sull’Hotel? Tra l’inimmaginabilità di una simile disgrazia e l’inevitabile scaricabarile, anche in questi due mesi di udienze a L’Aquila, gli avvocati degli imputati hanno cercato di aggrapparsi all’imprevedibilità dell’evento, pescando a piene mani dalle motivazioni della sentenza di primo grado. Può bastare dire che l’incapacità, in questo Paese, non è reato? Evidentemente no, secondo Pubblica Accusa e parenti delle vittime, che chiedono e continuano a chiedere risposte certe sul perché chi, preoccupato per le straordinarie nevicate di quei giorni, non ha avuto la possibilità di lasciare l’albergo, sul perché le molteplici richieste di soccorso sono state ignorate ed in alcuni casi, addirittura insabbiate, come la telefonata del cameriere Gabriele D’Angelo misteriosamente sparita dai brogliacci consegnati alla Squadra Mobile, e per la quale dovrà rispondere gran parte del corpo dirigente della Prefettura, a cominciare dall’ex Prefetto Francesco Provolo. Ma anche la mancata applicazione, da parte della Regione, della Carta di Localizzazione Pericolo Valanghe, uno strumento che avrebbe potuto, ad esempio, consentire lo sgombero e l’immediata chiusura dell’Hotel. Ed ancora l’assenza di turbine funzionanti per liberare la strada ricoperta di neve. Insomma, una complessa concatenazione di avversità sulla quale il Giudice Aldo Manfredi, ed il suo collegio, dovranno fare sintesi, con il gravoso compito di consegnare agli imputati, ai parenti dei 29 angeli rimasti sotto le macerie e all’opinione pubblica tutta, un reale senso di giustizia per una tragedia che ha lasciato, lascia e lascerà ancora troppi punti interrogativi.