Un infermiere ogni dieci pazienti: questo è in Abruzzo il rapporto tra chi assiste e chi è assistito in ambito sanitario a fronte di una normalità che dovrebbe essere di 1 a 6. Richieste, non più rimandabili, consegnate alla Regione
Nella nostra regione mancano all’appello più di 1.700 infermieri, ma la carenza di organico, aggravata dall’emergenza Covid, non è l’unico problema che gli ordini professionali infermieristici delle quattro province si trovano quotidianamente a fronteggiare nelle corsie dei reparti.
Remunerazione adeguata, possibilità di carriera, riorganizzazione della rete sanitaria territoriale con l’istituzione dell’infermiere di famiglia e soprattutto nuove assunzioni per alleggerire il carico di lavoro del personale stremato e in costante affanno: sono alcune delle richieste avanzate alla Regione dagli ordini provinciali delle professioni infermieristiche che chiedono l’istituzione di un tavolo tecnico per affrontare e risolvere le criticità del settore.
«Nella nostra regione mancano circa 1760 infermieri, anche in previsione del Pnrr che è stato licenziato da Draghi», ha dichiarato Irene Rosini, presidente dell’Opi di Pescara. «Quello dell’infermiere è diventato un mestiere poco ambito e meno appetibile rispetto agli altri, perché nonostante il percorso accademico e tutte le responsabilità che la professione richiede – non dimentichiamoci che noi abbiamo una responsabilità per colpa grave, contrattuale ed extracontrattuale, nei confronti dei pazienti -, di fatto però non trova poi riscontro dal punto di vista sia economico, perché gli stipendi sono veramente risibili, e sia anche per altre possibilità esterne, per esempio per quelli che sono i contratti di lavoro nella pubblica amministrazione che sono legati a un vincolo di esclusività che noi chiediamo assolutamente di rimuovere. Adesso con il piano vaccinazioni il vincolo è stato allentato a 4 ore settimanali per permettere di essere operativi sul fronte delle vaccinazioni, però noi crediamo che questo possa essere esteso anche dopo, perché ci sono tantissime RSA che chiedono gli infermieri nei loro centri, ma di fatto non ci sono, perché tra l’altro col Covid si è vista una fuga da tutte le RSA, perché se il rapporto qui in ospedale in alcune unità operative è di 1 a 10, nelle RSA questo rapporto è anche molto più alto.»
Un altro fattore su cui gli ordini spingono è l’istituzione dell’infermiere di famiglia che servirebbe a snellire anche il sovraffollamento degli ospedali e a rendere la sanità territoriale più prossima.
«Certamente, ma questo configura il domicilio come il primo luogo di cura del paziente, attuando quella che è la medicina di iniziativa e non di attesa», ha continuato Irene Rosini. «Questo però si può fare soltanto attraverso una presa in carico proattiva dei pazienti sul territorio, attraverso il potenziamento della sanità territoriale e la costruzione di una rete territoriale ad hoc con dei modelli assistenziali ben precisi ai quali la Regione deve ispirarsi.
La Regione ci ha assicurato l’istituzione di un tavolo tecnico, ma se non saranno risolte le criticità saremo pronti ad azioni forti anche a livello nazionale perché le nostre richieste credo che siano più che legittime.»