Fa gridare allo scandalo l’ennesima sentenza del giudice Monica Croci che già aveva fatto parlare di se riconoscendo il 30% di colpa alle vittime del crollo di una palazzina in via Campo di Fossa
Perché Nicola Bianchi, studente di 22 anni, deceduto nel crollo della casa dove viveva in affitto in via Gabriele D’Annunzio, è colpevole per lei al 100%. Per la Croci, come anticipato da Rete 8 grazie alle rivelazioni del papà Sergio durante la trasmissione I fatti e le Opinioni, Nicola è stato incauto. Doveva uscire di casa. La sua scelta poggerebbe sul fatto che era stato chiesto un controllo di quella casa mai messo nero su bianco. Papà Sergio è stanco, non crede più nella giustizia e non si aspetta nulla neanche dall’appello ma a questo punto chiede chiarimenti allo stato e al ministero della giustizia.
“I nostri figli avrebbero dovuto prevedere quanto poi purtroppo accaduto e uscire di casa: mio figlio Nicola sarebbe stato incauto nel non uscire di casa”. Sono le parole di Sergio Bianchi, padre di Nicola, universitario
originario di Monte San Giovanni Campano, deceduto la notte del 6 aprile all’Aquila, e presidente dell’Avus, associazione vittime universitarie sisma, che in una intervista a Rete8 commenta l’esito della sentenza del Tribunale dell’Aquila del giudice Monica Croci, che nell’aprile 2022 ha rigettato in toto la richiesta di risarcimento nei confronti dello Stato per il figlio e altri 9 studenti tutti periti sotto le macerie. Il giudice Croci aveva emesso anche altre sentenze nelle quali aveva ammesso il concorso di colpa del 30% per “l’incauto comportamento di non essere usciti di casa” dopo la scossa delle 3,32 del 6 aprile del 2009, ad alcune vittime del sisma nell’ambito dei processi civili intentati dai familiari. Parla di un’altra “sentenza choc” il legale della famiglia Alessandro Gamberini: “rigettando i risarcimenti e condannando i familiari delle giovani vittime al pagamento delle spese processuali, il giudice del tribunale dell’Aquila ha attribuito agli universitari con una serie di motivazioni non vere il 100% della colpa della loro morte. I giovani avrebbero dovuto uscire di casa con una decisione individuale senza che nessuno avesse lanciato allarmi o avvertimenti sul pericolo dei terremoto e dello sciame. Anzi in un clima di rassicurazioni istituzionali della protezione civile”. Bianchi parla di “una decisione che ci ha lasciato impietriti, senza parole”. Per i nove ragazzi morti erano stati chiesti risarcimenti tra i 500 e i 600 mila euro ciascuno. La sentenza è stata appellata: Nicola, 22 anni, morì nel crollo della casa di via D’Annunzio. Il giudice ha scritto che bisogna “che qualunque rassicurazione fosse stata percepita doveva necessariamente venire meno ove l’abitazione in concreto occupata avesse presentato segni di danno per le precedenti scosse e/o fosse stata giudicata meritevole di controlli di stabilità”. Nelle altre motivazioni per altri ragazzi morti si può leggere come “fosse uscita di casa alla scossa delle ore 23:30. Tale condotta obiettivamente attesta come la defunta non
avesse affatto maturato la convinzione circa la non pericolosità del terremoto e la superfluità di misure di autotutela, posto che agì in netto contrasto con detta convinzione”, oppure che “le scelte della defunta fossero da attribuire alla convinzione che l’edificio in cui abitava fosse sicuro”, ma anche che “la ragazza aveva fatto rientro nel proprio appartamento pur dubitando della solidità dell’edificio”. Dolore su dolore dopo 14 anni.
Intanto il legale Vincenzo Angelone ha deposito il ricorso proprio il sei aprile per alcune sentenze nelle quali la Croci aveva riconosciuto il famoso 30%. Siccome ci sono stati vari appelli probabilmente verranno riuniti nell’udienza di metà giugno. Il ricorso si fonda sul fatto che i ragazzi non avevano gli strumenti per prevedere il crollo del fabbricato. Angeloni una stoccata l’ha data anche alla politica. Possibile, si chiede, che i parenti debbano fare giudizi su giudizi per avere i risarcimenti? Ai parenti di dieci studenti insomma vengono negati i risarcimenti e sono stati condannati al pagamento delle spese processuali. Sicuramente la faccenda non finisce qui ma dopo 14 anni resta l’amaro in bocca per delle sentenze che aggiungono dolore e senso di impotenza dopo 14 anni per dei genitori che mai si sono rassegnati ad avere giustizia ma che ora cominciano ad essere stanchi.