Accesso indebito di dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti. E’ questa l’accusa che viene contestata ad un giovane recluso nel carcere di massima sicurezza a Sulmona, che finisce a giudizio per il telefono dietro le sbarre nel pacco della zia.
La vicenda risale allo scorso anno quando, nel corso di un controllo routinario svolto dagli agenti di polizia penitenziaria, nel pacco destinato all’imputato è stato trovato un telefono cellulare, accuratamente nascosto ma che l’operatore di polizia giudiziaria riuscì a scoprire e a bloccare in tempo. Il pacco arrivava dalla Puglia, dalla zia del detenuto, come si giustificò il diretto interessato, spiegando di non essere a conoscenza di tale “omaggio”. Anche davanti al giudice, Concetta Buccini, il suo avvocato ha chiarito che il pacco non era destinato al suo assistito. Fatto sta che, per tale episodio, il prossimo 25 marzo arriverà la sentenza. Il recluso rischia una pena da due a cinque anni. Il fatto avvenne prima della più ampia vicenda dei telefoni dietro le sbarre, per la quale nove detenuti furono assicurati alla giustizia mentre un poliziotto penitenziario, trovato con tre microcellulari in tasca, si appresta a patteggiare la pena.