“Mio fratello è innocente, c’è stato solo un enorme sbaglio, contro di lui non c’è nessuna prova, e speriamo che la Corte Suprema thailandese possa sancire la sua assoluzione dopo anni di calvario”: Romina, sorella di Denis Cavatassi, condannato a morte in due gradi di giudizio quale presunto mandante dell’omicidio di un amico e socio in affari, Luciano Butti, riafferma la totale estraneità del fratello al delitto e ringrazia le autorità diplomatiche italiane che stanno seguendo il caso da vicino.
La sentenza definitiva, per l’unico italiano al mondo su cui pende una condanna a morte, dovrebbe giungere entro fine anno. Denis Cavatassi è un agronomo di Tortoreto oggi 51 enne: arriva in Thailandia dieci anni fa, nel 2009, dopo aver partecipato da volontario ad un progetto agrario di sei mesi in Nepal. Visitando il Paese con un amico cooperante, incontra Luciano Butti, piccolo imprenditore con un ristorante e una guest house a Phiphi Island devastata dallo tsunami. Denis e l’amico accettano di aiutarlo a ricostruire, investendo qualche migliaio di euro in cambio di una piccola partecipazione nella società: a Cavatassi va il 16% (e non il 66% che risultava dalla prime carte processuali), Butti tiene per sè il 51%. Il 15 marzo del 2011 Butti viene ucciso da quattro colpi d’arma da fuoco mentre viaggiava in scooter. La polizia arresta tre thailandesi, tra cui un cameriere del ristorante gestito da Cavatassi e, quando quest’ultimo si reca al commissariato per il riconoscimento del cadavere dell’amico offrendosi di collaborare alle indagini – racconta la sorella – viene immediatamente arrestato. Romina, che era andata a trovarlo con la sua famiglia e una coppia di amici, riesce a vederlo nel posto di polizia prima del suo trasferimento al carcere di Phuket e rimane sconvolta. “Era in una gabbia di ferro con le catene ai piedi – ricorda – un’immagine che non potrò mai dimenticare”. Nel 2015, in primo grado, Denis Cavatassi viene condannato a morte, sentenza confermata in secondo grado nel 2017, dopo due processi pieni di errori ed equivoci. “Si è detto che mio fratello vantasse un credito di 200 mila euro da Butti, e che in quei giorni avesse fatto un bonifico di 3.500 euro al cameriere arrestato quale presunto compenso per il delitto, ma nella realtà dei fatti supportati dalla documentazione raccolta è stato accertato che non c’era nessun credito, e che al cameriere erano stati accreditati con due bonifici solo il suo salario e un piccolo anticipo chiesto per un problema familiare, in tutto 700 euro”. Nel carcere di massima sicurezza di Nakkon Si Tammarat, a cinque ore da Phuket, Denis Cavatassi è in una cella con 45 persone (“durante la prima detenzione erano oltre 100 e se si addormentavano di fianco non potevano rimettersi supini”, racconta Romina) e tre coperte che gli fanno da materasso e cuscino. “E’ molto magro ma sta bene – dice la sorella – sta dimostrando una forza incredibile: alle 6 c’è la preghiera a Buddha e Maometto, poi corre, insegna l’inglese ad altri detenuti e legge. Vorrebbe leggere di più ma i libri sono centellinati: con l’aiuto dell’ambasciata italiana ha potuto ricevere alcuni libri di cui fa tesoro, le lettere degli amici e ora di noti scrittori, primo fra tutti Moni Ovadia. Ma per un mese all’inizio era stato in isolamento con le catene ai piedi a un passo dal muro. Poi ha potuto ricevere le visite della moglie thailandese, di alcuni amici, del fratello, della sorella e dell’ambasciatore italiano a Bangkok Lorenzo Galanti, e della figlia di 7 anni. E’ a lei il suo primo pensiero: “Non ho fatto niente, ne voglio uscire a testa alta – ha detto alla sorella durante un periodo di libertà tra un grado e l’altro di giudizio – non voglio che mia figlia cresca con l’idea che il padre sia un fuggitivo”. Per questo non ha mai lasciato il Paese, anche se forse ne avrebbe avuto la possibilità. “Nessun movente, nessuna prova, nessuna testimonianza a carico”, ribadisce la sorella di Denis Cavatassi sottolineando l’amicizia che legava il fratello alla vittima, tanto che a giorni avrebbe dovuto testimoniare a suo favore nel divorzio di Butti dalla moglie tedesca. “Ringrazio le autorità italiane e in particolare l’ambasciatore a Bangkok Lorenzo Galanti e l’On. Fico per la loro vicinanza”, conclude la sorella di Denis, che spera che il fratello sia definitivamente scagionato dalle accuse. Accuse per cui rischia ora la pena capitale.