Ennesimo no della Cassazione alla richiesta di affidamento ai servizi sociali dell’imprenditore Francesco De Vito Piscicelli: intercettato il giorno dopo il sisma de l’Aquila del 2009, rideva parlando degli affari della ricostruzione.
I supremi giudici, con il verdetto 26033 depositato oggi, gli hanno nuovamente risposto di ‘no’, come già fatto nell’aprile del 2019. In particolare, gli ‘ermellini’ non hanno trovato nulla da obiettare ai “fondati dubbi” espressi dai loro colleghi sulla “effettività dell’attività lavorativa” che l’ingegnere Piscicelli – condannato in via definitiva a due anni e otto mesi per corruzione nella vicenda della Scuola marescialli di Firenze – sostiene di svolgere presso la sua compagna, la principessa Sofia Borghese.
“Resta evanescente, come riscontrato, il tipo di impegno svolto descritto come di consulenza esterna senza che sia precisata la consistenza delle relative mansioni, il luogo di svolgimento, la protrazione dell’impegno tanto che l’atto di affidamento dell’incarico menziona la prestazione di attività presso il punto di vendita di Orbetello e presso l’immobile della Borghese sito in Roma cui il De Vito Piscicelli da detenuto domiciliare non può avere accesso”, riassume la Cassazione nel solco del precedente verdetto. Insomma, “nulla che oggettivizzi il lavoro svolto alle dipendenze della propria compagna”, conclude la sentenza.
Tra i motivi che avevano sorretto il ‘no’ al beneficio, anche i comportamenti tenuti dal costruttore dopo e nonostante le inchieste sui vari filoni dei ‘Grandi Eventi’ e del ‘G8’, come la violazione delle norme sulle aree protette quando atterrò con il suo elicottero su una spiaggia dell’Argentario per andare al ristorante nel dicembre 2012.