Tragedia Rigopiano: condannato l’ex Prefetto di Pescara

Dopo cinque ore di Camera di Consiglio la Corte d’Appello dell’Aquila ha parzialmente riformato la sentenza del processo per la tragedia di Rigopiano: condannato a 1 anno e 8 mesi l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo

L’ex Prefetto di Pescara Francesco Provolo è stato condannato a 1 anno e 8 mesi e non a otto anni come era stato capito dai molti dei presenti, a causa dell’impianto audio malfunzionante. Nel processo di primo grado Provolo era stato assolto.

Il presidente dei giudici Aldo Manfredi ha annunciato di avere messo a disposizione un abstract esplicativo della sentenza.

RIEPILOGO DELLA SENTENZA ODIERNA DELLA CORTE D’APPELLO DELL’AQUILA:

Otto condanne e 22 assoluzioni. I giudici hanno confermato le condanne inflitte in primo grado per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, per i dirigenti della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, per il tecnico Giuseppe Gatto e per l’ex gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso. Oltre all’ex prefetto Provolo, che dovrà scontare una pena di un anno e otto mesi per falso e omissioni di atti d’ufficio, sono stati condannati Leonardo Bianco, ex capo di gabinetto della Prefettura, e Enrico Colangeli, tecnico comunale di Farindola.

La Corte d’Appello presieduta da Aldo Manfredi ha condannato l’ex prefetto Provolo e il dirigente Bianco il primo per omissione di atti d’ufficio e falsità ideologica, il secondo per falso. Colangeli per omicidio colposo e lesioni plurime. La sentenza ha confermato le condanne di
primo grado per il sindaco di Farindola Lacchetta a 2 anni e 8 mesi, il dirigente della Provincia Mauro Di Blasio, 3 anni e 4 mesi, il tecnico Giuseppe Gatto, 6 mesi, mentre per  l’ex gestore del resort Bruno Di Tommaso, la pena è stata ridotta a 5 mesi e dieci giorni.

Provolo è stato assolto, come era già avvenuto in primo grado, dai reati più gravi, ossia omicidio plurimo, disastro e lesioni. Sia l’ex Prefetto che Bianco sono stati assolti nella presunta vicenda del depistaggio. Colangeli, assolto in primo grado (la procura pescarese aveva chiesto 11 anni e 4 mesi) era implicato come colui che si occupava dei permessi edilizi di ampliamento del resort. I 2 anni e 8 mesi a lui inflitti dalla Corte d’Appello sono la stessa pena che in primo grado era stata comminata al sindaco Ilario Lacchetta, poi confermata oggi.

“La Corte d’Appello quindi – scrive Luca Prosperi sull’Ansa – ha individuato negli amministratori locali che hanno dato i permessi di costruzione dell’albergo e il sindaco che doveva impedire l’ascesa dei turisti – e anzi doveva sgomberare il lussuoso resort – come i principali responsabili delle 29 morti, assieme ai dirigenti della provincia addetti alla viabilità e alla gestione dei mezzi di soccorso. Ha determinato insomma che la tragedia è principalmente una fatto legato alla gestione del territorio in quel drammatico frangente, escludendo quindi ogni responsabilità sulla mancata realizzazione da parte della Regione della Carta Valanghe o la scossa di terremoto che ci fu quella mattina. Ne
sono così usciti l’ex presidente della Provincia Antonio Di Marco, per non aver commesso nessuno degli addebiti, e tutti i dirigenti regionali. I due funzionari della Prefettura sono stati poi puniti per aver mentito o ritardato alcune funzioni.”

Il commento dell’avvocata di parte civile Vania Della Vigna: “Nella sostanza l’impianto accusatorio della Procura della Repubblica di Pescara ha retto. Il segnale di miglioramento c’è”.

Oltre alla condanna a 1 anno e 8 mesi dell’ex Prefetto di Pescara Provolo, le altre variazioni rispetto al primo grado sono: 2 anni e 8 mesi (come la condanna, confermata, del sindaco di Farindola Lacchetta) del responsabile tecnico del Comune di Farindola Enrico Colangeli; 1 anno e 4 mesi a Leonardo Bianco, capo di gabinetto della Prefettura di Pescara. Rimangono immutate le posizioni della Regione Abruzzo e della Provincia di Pescara, che restano fuori dal cono di attribuzione di responsabilità.

Alcuni dei parenti delle vittime hanno espresso rammarico per quella che ritengono una sentenza non soddisfacente e inadeguata, seppure rappresenti un piccolo passo avanti in direzione della giustizia. I famigliari hanno anche detto che valuteranno insieme agli avvocati se presentare ricorso.

In aula il comitato dei parenti delle vittime ha atteso con grande ansia la lettura del dispositivo.

Il disastro risale al 18 gennaio 2017 quando, alle 16.49, una valanga travolse e distrusse il lussuoso resort alle pendici del versante pescarese del Gran Sasso, provocando la morte di 29 persone.

Non ci sono state repliche dalla pubblica accusa, dalla parte civile e tanto meno dagli avvocati dei 30 imputati per i quali la Procura di Pescara ha fatto ricorso: da qui la decisione da parte del collegio dei giudici presieduto da Aldo Manfredi di ritirarsi subito in Camera di Consiglio.

Poco prima della sentenza d’appello di oggi Alessio Feniello, padre di Stefano, il giovane di 28 anni morto sotto le macerie dell’hotel, aveva dichiarato:

“Se si ripetesse anche in appello un verdetto simile a quello avuto a Pescara, significherebbe che in Italia funziona tutto all’incontrario e, per quanto mi riguarda, sarebbe da rifare tutto. Quest’anno abbiamo comunque seguito l’iter sperando in qualcosa di diverso. Ci auguriamo di non dover rivivere quello che abbiamo vissuto a Pescara”.

Dopo la sentenza lo stesso Feniello ha avuto parole durissime, ha detto che si aspettava la condanna di Regione Abruzzo e Provincia di Pescara e ha citato Massoneria e poteri forti annunciando che ricorrerà in Cassazione.

Il commento alla sentenza espresso oggi da Egidio Bonifazi, padre di Emanuele, 31enne addetto alla reception dell’hotel Rigopiano, morto il 18 gennaio 2017 nella struttura di Farindola:

“Tutte le allerte valanga sono state ignorate. Con questa sentenza muore la prevenzione in Italia. Che la facciamo a fare? Ho provato molta confusione. Non hanno reso giustizia. Sono molto amareggiato perché non sono stati puniti i maggiori responsabili”.

Anche l’avvocato Sergio Della Rocca, legale difensore dell’ex prefetto Francesco Provolo, ha commentato la sentenza:

“Massimo rispetto a questa disgrazia. La sentenza si rispetta come quella di primo grado. È stata confermata l’assoluzione su depistaggio e omicidio plurimo. Mentre è arrivata la condanna per omissione di atti d’ufficio e falso. Per questi reati non c’è costituzione di parte civile. Sapevamo bene che questo processo sarebbe finito in Cassazione”.

Questo invece il commento dell’altro legale del Prefetto Provolo, Gian Domenico Caiazza:

“La corte d’appello dell’Aquila ha confermato l’assoluzione già dichiarata dal giudice di primo grado, riguardo alle due più gravi accuse che lo avevano raggiunto per la tragedia di Rigopiano. Per giudici il prefetto non ha alcuna responsabilità né per la tragica morte o per le gravi lesioni in danno degli ospiti, né per la infamante accusa di depistaggio delle successive indagini”.

In primo grado furono condannati in cinque: il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (due anni e otto mesi); i dirigenti della Provincia di Pescara Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (tre anni e quattro mesi ciascuno); sei mesi ciascuno per l’ex gestore Bruno Di Tommaso e il geometra Giuseppe Gatto.

In quella occasione l’accusa di disastro colposo cadde per molti dei principali imputati, tra i quali l’ex Prefetto Francesco Provolo, per il quale il pool della procura coordinato dal procuratore capo Giuseppe Bellelli e composto dai sostituti procuratori Anna Benigni e Andrea Papalia aveva chiesto 12 anni; l’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, per il quale erano stati chiesti sei anni.

Assolti anche tecnici e dirigenti regionali in uno scenario, secondo l’articolato impianto accusatorio, di diffuse responsabilità su vari fronti, dai permessi di costruzione dell’albergo, alla gestione dell’emergenza di quei giorni drammatici sul fronte delle condizioni atmosferiche, alla gestione dei soccorsi, fino ad una presunta vicenda di depistaggio in merito alla telefonata di Gabriele D’Angelo, dipendente dell’albergo e una delle vittime, che aveva allertato la Prefettura sulla situazione di pericolo, fatta sparire.

Altra protagonista del processo è la Carta Localizzazione Pericolo Valanghe (Clpv), mai attivata dalla Regione Abruzzo, tirata in ballo dai legali del sindaco di Farindola per dimostrare che in presenza di quella carta avrebbe avuto strumenti per effettuare interventi preventivi; nel mezzo una lunga serie di perizie che non hanno portato a un quadro di totale chiarezza. In Corte d’Appello, i due pm di Pescara, Anna
Benigni e Andrea Papalia hanno spiegato nei minimi dettagli le ragioni del loro ricorso, ribadendo in maniera approfondita le responsabilità degli imputati, sulla loro scia gli avvocati di parte civile, mentre la gran parte degli avvocati difensori ha attinto alle motivazioni della sentenza di primo grado e, in alcuni casi, ponendo dubbi perfino sulle legittimità dei ricorsi stessi.

Marina Moretti: