All’indomani della pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione sulla tragedia di Rigopiano, l’intervento dell’Avvocato Wania Della Vigna, parte civile, nel processo, di Silvia Angelozzi, sorella di una delle 29 vittime.
“Prevenire era dovuto”, ribadiscono i giudici con l’ermellino nel motivare la sentenza dello scorso 3 dicembre nel giudizio di terzo grado sulla tragedia all’Hotel Rigopiano avvenuta il 18 gennaio del 2017. Sentenza che, tra le altre cose, ha disposto un nuovo processo per i dirigenti della Regione rei di non aver predisposto la Carta Valanghe. Questo l’aspetto principale di tutto il dispositivo sottolineato anche dall’Avvocato Wania Della Vigna, parte civile di Silvia Angelozzi, sorella di Sara e cognata di Claudio Baldini, la coppia morta sotto le macerie dell’Hotel:
“La Suprema Corte ha finalmente stabilito – dice la Della Vigna al Tg8 – che l’evento valanga era prevedibile ed evitabile se fosse stata predisposta la Carta Localizzazione Pericolo Valanghe dalla Regione, già prevista con una Legge Regionale nel 1992, ma attivata solo 25 anni dopo, nel 2021. La sua mancata attivazione ha compromesso l’intera catena di protezione, in base alla quale, ad esempio, si sarebbe potuto disporre la chiusura dell’Hotel nel periodo invernale, dove il rischio valanghe è più elevato. Altro aspetto il ruolo dei funzionari della Provincia di Pescara nel gestire la viabilità. E proprio l’impossibilità di evacuare l’Hotel a causa dell’eccessivo innevamento che ha bloccato la Strada Provinciale, è stata determinante per cagionare morti e feriti. Quindi dalla Suprema Corte emerge che tutto poteva essere evitato, adesso attendiamo comunicazioni sull’Appello Bis che si terrà prossimamente al Tribunale di Perugia”.
IL SERVIZIO DEL TG8
Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa comitato vittime di Rigopiano.
Vi rendete conto di quello che è realmente accaduto? Si parla di magia! La Cassazione lo dice chiaramente: prescindere dalle nozioni scientifiche in un processo equivale a far regredire il diritto alla superstizione, trasformando il giudizio penale in una dimensione “magica”. Ma stiamo scherzando?
Per due gradi di giudizio si sono concentrati sulle persone sbagliate, mettendo al centro delle condanne il sindaco e il tecnico comunale. Certo, anche loro avevano delle responsabilità, ma sono soltanto l’ultimo anello di una catena ben più lunga, ai cui vertici c’erano i dirigenti della Regione e della Protezione Civile, coloro che avevano il dovere di garantire la sicurezza e la prevenzione del rischio. E invece? Sono stati lasciati in disparte.
E la Carta pericolo valanghe? Uno strumento fondamentale, previsto dalla legge, che avrebbe potuto evitare la tragedia, semplicemente non è mai stata fatta. E nessuno si è chiesto il perché! Abbiamo dovuto aspettare la Cassazione per correggere indagini sbagliate e riportare a nuovo processo i presunti responsabili prosciolti nei precedenti gradi di giudizio.
E poi la strada d’accesso: se fosse stata sgombra, la gente si sarebbe potuta salvare! Invece di indagare sulla gestione della viabilità, hanno condannato due funzionari provinciali senza nemmeno considerare il contesto. E ora, anche loro dovranno tornare a processo, secondo le indicazioni della Cassazione.
I giudici di terzo grado lo scrivono nero su bianco: non hanno indagato sulla prevenzione e sulla gestione dei rischi, evitando di chiamare in causa tutte quelle strutture che non hanno fatto il proprio dovere. In primis, come diciamo da sempre, il PCA (Posto di Coordinamento Avanzato). Ed è proprio il PCA che, nelle ore precedenti alla tragedia, ha ricevuto decine di telefonate di aiuto da Gabriele D’Angelo, rimaste inascoltate.
E qui entra in gioco il cosiddetto “caso D’Angelo”, un aspetto fondamentale della vicenda che ha fatto una fatica enorme a entrare nel processo ed è stato trattato in modo fin troppo marginale. Eppure, era il fulcro di tutto ciò che è accaduto a Rigopiano nelle ore immediatamente precedenti alla tragedia.
È una vergogna assoluta aver lasciato fuori dal processo i componenti del PCA, istituito la mattina della tragedia dal Prefetto presso il Centro Operativo Comunale di Penne. Ora tutte le nostre tesi si sono materializzate. Sarà troppo tardi? Noi, fino all’ultimo, combatteremo.
Allora sorge spontanea una domanda che ci facciamo dall’inizio: perché distorcere la realtà dei fatti? Perché omettere tante cose? Perché delimitare il perimetro di investigazione, tralasciando aspetti per noi vitali? Un esempio tra i tanti: il mancato utilizzo degli elicotteri. La Cassazione lo scrive chiaramente: “non è stata indagata né in primo né in secondo grado” la possibilità di usare gli elicotteri militari per intervenire cinque ore e mezza prima della tragedia.
Uno scandalo assoluto! Ora la Cassazione ha dovuto rimettere tutto in discussione, perché chi doveva fare il proprio lavoro ha fallito completamente.
Tragedia Rigopiano, la Cassazione: “Prevenire era dovuto”