Ne “La pioggia nel pineto” il Vate e la Duse ci stavano immersi o immensi?
Le due parole di certo pari non sono, perché quando si parla di d’Annunzio anche una sola lettera può fare la differenza. Specialmente se quella lettera campeggia, insieme alle altre straordinarie parole dell’immaginifico, sul muro della sede di un’istituzione culturale. E allora raccogliamo la segnalazione, arrivata da Radio Speranza, e rilanciamo pubblicando il testo integrale della poesia oggetto del contendere, “La pioggia nel pineto”.
I fatti: nel 1902 d’Annunzio la Duse soggiornavano nella villa “Versiliana”, a Marina di Pietrasanta. E’ lì vicino, tra la spiaggia e la pineta di Marina di Pisa, che probabilmente il Vate compose i versi della succitata poesia, una delle più famose. Oggi Radio Speranza, in un comunicato con preghiera di pubblicazione, segnala un presunto strafalcione che campeggia sul murales dipinto sulla facciata della sede dell’Archeoclub, sul ponte intitolato proprio a d’Annunzio:
“E immersi noi siam nello spirito silvestre, d’arborea vita viventi…”..diventa “IMMENSI noi siam…”..nel murales con l’effige di Gabriele D’Annunzio proposto sulla facciata dell’Archeoclub sul ponte D’Annunzio di Pescara. Possiamo permetterci un simile strafalcione nella città del Vate e con l’apertura dei Giochi del Mediterraneo su spiaggia 2015? Tanto più che l’errata dicitura campeggia a caratteri cubitali ormai da tempo!”
Così Radio Speranza in Blu Pescara (segnalazione della regista di radio Speranza Natasha Chioditti). Noi però torniamo ai versi, superlativi e modernissimi. Ai detrattori del Vate potranno anche non piacere, ma forse sarebbero più apprezzati se a dedicarglieli fosse l’amato bene, o il partner per dirla in lingua contemporanea. Stabilire nero su bianco se la parola sia immensi o immersi non è certo difficile, anche se sul web le versioni sono presenti entrambe, ma la verità è che abbiamo deciso di rilanciare questa segnalazione anche e soprattutto perché è l’occasione per ricordare un autentico capolavoro. Con la esse o con la erre che sia. Ecco dunque “La pioggia nel pineto”:
“Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse . Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divin su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura con un crepitìo che dura e varia nell’aria secondo le fronde più rade, men rade. Ascolta. Risponde al pianto il canto delle cicale che il pianto australe non impaura né il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancóra, stromenti diversi sotto innumerevoli dita. E immersi/immensi noi siam nello spirto silvestre, d’arborea vita viventi; e il tuo vólto ebro è molle di pioggia come una foglia, e le tue chiome auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. Ascolta, ascolta. L’accordo delle aeree cicale a poco a poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce; ma un canto vi si mesce più roco che di laggiù sale, all’umida ombra remota. Più sordo, e più fioco s’allenta, si spegne. Sola una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. Non s’ode voce dal mare. Or s’ode su tutta la fronda crosciare l’argentea pioggia che monda, il croscio che varia secondo la fronda più folta, men folta. Ascolta. La figlia dell’aria è muta; ma la figlia del limo lontana, la rana, canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pèsca intatta, tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i denti negli alvèoli son come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta, or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i mallèoli c’intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione”.
E voi, vi sentite più immersi o immensi?