Spoltore, Consiglio comunale su Nuova Pescara: l’intervento di Di Biase

A Spoltore durante il Consiglio Comunale aperto sul tema della Nuova Pescara è intervenuto anche l’architetto Tommaso Di Biase

Pubblichiamo di seguito l’intervento di Tommaso Di Biase.

La Nuova Pescara, ovvero la fusione dei Comuni di Pescara, Montesilvano e Spoltore, prende vita da un progetto che si è proposto di unire in un unico Comune una porzione della più vasta area metropolitana Chieti Pescara. Una porzione di territorio corrispondente a tre municipi localizzati nella sola Provincia di Pescara. Tutto il resto dei territori dell’area urbana vasta che sta intorno ad essi ne risulta escluso, nonostante che l’insieme dell’area, dal punto di vista economico, sociale e della vita che vi svolge quotidianamente, sia interconnessa e integrata con tutte le comunità che ne fanno parte. Questo limite, a mio avviso, costituisce l’handicap insuperabile del progetto.

Il nuovo municipio, nelle intenzioni dei sostenitori, si propone di unificare i servizi ai cittadini e alle imprese attualmente gestiti dai singoli Comuni. Una buona intenzione. Salvo il fatto che questo obiettivo può essere più facilmente raggiunto attraverso intese e accordi di programma espressamente previste dalle norme del TUEL, piuttosto che attraverso la prevista fusione dei municipi.
Mentre, per quanto riguarda la risoluzione dei principali problemi presenti nell’area urbana di cui sono parte i nostri tre Comuni il discorso è molto diverso. Infatti, nessuno dei grandi problemi che riguardano l’area può essere contestualizzato all’interno dei territori dei tre comuni messi insieme. Non i problemi infrastrutturali, per ovvi motivi, in quando nessuna infrastruttura stradale (o ferroviaria) di carattere strategico inizia e si conclude all’interno dei confini del nuovo Comune; non sarebbe in grado di risolvere i problemi ambientali o ecologici, per gli stessi ovvi motivi, né i problemi del risanamento necessario del fiume Pescara e dei suoi affluenti, perché possono essere affrontati solo a livello di bacino, tantomeno quelli dell’organizzazione sanitaria sul territorio o quelli della mobilità sostenibile.
Paradossale a questo proposito l’ultimo convegno del Circolo “nuova pescara” del PD sul tema mai centrato di una funzione prioritaria della nuova città. Perché, se uno dei limiti insuperabili della cosiddetta “nuova pescara” è quello di attrarre popolazione delle aree interne, impoverendole ulteriormente, paradossalmente, l’idea di farne una città accogliente proprio per le popolazioni più anziane, mette in evidenza che il depauperamento delle aree interne non sarà solo un “effetto” della programmata fusione ma, da oggi, un suo preciso obiettivo, e di questo sono sinceramente esterrefatto.

Chi ha ideato questo progetto e chi lo ha mandato avanti con Leggi della Ragione Abruzzo, possiamo dirlo senza pena di essere smentiti, è totalmente cieco. Non ha visto e non vede la realtà vera del territorio adriatico. Una realtà che, fin dall’epoca romana che l’ha strutturata e da quella medioevale che l’ha rafforzata, è policentrica. Ovvero, una rete di città piccole e medie diffuse nel territorio. Una rete predisposta a sviluppare le connessioni più avanzate e innovative che il mondo che viviamo ha prodotto: le reti digitali che caratterizzano la contemporaneità. A fronte di questo, che cos’è la “nuova pescara”? Un progetto ottocentesco di annessione territoriale che produrrà solo scompensi sul territorio che gli sta intorno. Cacciari lo dice con una certa chiarezza: “non abbiamo bisogno di nuovi centri, ma di creare una rete che combini decisione e partecipazione, concertazione e progettualità”. E conclude: “serve più fantasia al potere”. La fantasia che è mancata ai promotori della nuova pescara.

Dunque, questo nuovo Municipio che si vuole realizzare, che vede l’annessione alla città di Pescara della terza città d’Abruzzo per popolazione (Montesilvano) e di un centro di importanza storica (Spoltore), comporta una centralizzazione e un rafforzamento del potere di governo del territorio a discapito di un processo partecipato e policentrico.

Nel Piano Territoriale della Provincia di Pescara, l’urbanista Bernardo Secchi, ha individuato lungo la Val Pescara un’area metropolitana ristretta costituita dai tutti quei Comuni che per contiguità, struttura e funzioni, costituivano (e costituiscono ancora di più oggi) un continuum urbano. Questi Comuni oggi sono: Francavilla al Mare, Pescara, Montesilvano, Città Sant’Angelo, Cappelle sul Tavo, Spoltore, San Giovanni Teatino, Chieti, Cepagatti e Manoppello Scalo; essi sviluppano una popolazione di circa 312.000 abitanti e occupano una superficie territoriale di 308,63 Km quadri.
Mentre, i tre Comuni destinati a costituire la Nuova Pescara sviluppano oggi una popolazione di circa 190.000 abitanti, ovvero intorno al 60% di quella dell’area metropolitana ristretta, e occupano un territorio di 94,53 Km quadri, ovvero circa il 30% della stessa area.
Bastano questi pochi dati a evidenziare il rischio di costituire un’area forte che esclude gran parte del territorio che la infrastruttura e che la fa vivere economicamente, socialmente e culturalmente, che cioè ne rappresenta la linfa vitale. Nuova Pescara in definitiva, con il processo di fusione, sarà un Comune più forte all’interno di un’area metropolitana già forte che attrarrà ulteriori risorse umane dalle aree interne, rischiando di accelerarne la desertificazione e l’abbandono.

Allora perché non provare a modificare radicalmente e migliorare la governance del territorio adriatico trasformando le tre province di Chieti, Pescara e Teramo (magari partendo inizialmente da Chieti e Pescara) in un’unica Provincia Metropolitana Adriatica all’interno di una visione unitaria del territorio che leghi e faccia interagire la montagna con la costa? Sarebbe un Ente di secondo livello con un Presidente eletto direttamente e con le stesse competenze delle “città metropolitane”. Sarebbe il giusto livello di governo per un’area urbana vasta e policentrica di oltre un milione di abitanti. Un livello di governo che permetterebbe di affrontare in modo sistemico i problemi infrastrutturali e ambientali che le stesse province attuali non sono in grado di risolvere da sole. Sarebbe una vera “rivoluzione” dei poteri democratici per la nostra regione, un modo per non chiudersi nel “castello” della “grande pescara” e dal quale lanciare sortite sui territori che si trovano nel suo hinterland.

Mi sono limitato a indicare alcuni aspetti problematici del progetto Nuova Pescara e ad allargare in una prima approssimazione la prospettiva sperando che la discussione ci porti a superare questo falso obiettivo e a recuperare un minimo di fantasia al potere per il nostro futuro. Buon lavoro a tutti e grazie per l’ospitalità.

Tommaso Di Biase